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IL DIFFICILE EQUILIBRIO DELLA MONTAGNA

In Valle Imagna - Autunno

Mi è stato chiesto di presentare l’esperienza del Centro Studi Valle Imagna, nell’ambito dell’Alpine Seminar 2020, mettendo soprattutto a fuoco il difficile equilibrio tra conservazione e innovazione nelle pratiche di sviluppo sul territorio della montagna prealpina orobica, dove opera il nostro sodalizio culturale. Tale binomio, in effetti, ha caratterizzato l’attività del Centro sin dall’inizio. Il gruppo eterogeneo dei fondatori non ha voluto costituire un circolo letterario, oppure una sorta di enclave accademica orientata solamente agli studi e alla costruzione di iniziative editoriali, anche se queste attività caratterizzano da sempre diversi momenti dell’azione associativa. Il percorso di avvicinamento consapevole alla dimensione rurale, intrapreso ormai quasi trent’anni or sono, riflette l’evoluzione dei tempi e vive quotidianamente le contraddizioni dei nostri giorni, soprattutto quando viene a galla la relazione tra la difesa delle identità locali e le istanze di progresso e di cambiamento, che in molti casi si esprimono ancora in discontinuità con la storia sociale e le tradizioni dei luoghi. Rifletto su questo tema, ripercorrendo le varie tappe della vita sociale del Centro Studi, mentre, seduto al tavolino sotto il portico della stalla di Recüdì, dallo straordinario balcone panoramico con vista aperta sul bacino naturale dell’Alta Valle Imagna, osservo la verde culla del Resegone, entro la quale sono distribuiti i diversi insediamenti rurali dei Valdimagnini. Un violento temporale con tempesta ha da poco fatto il suo corso e, nel pomeriggio delle ore sedici, nel cielo è ritornato il sereno, col sole di nuovo caldo, anche se la prima arietta frizzante di fine agosto sta annunciando l’imminente sopraggiungere dell’autunno. Il bosco incomincia a tingersi dei colori caldi settembrini e l’aria, trasparente e sopraffina, liberata dal pulviscolo atmosferico, consente al nostro sguardo di spaziare dovunque: tutto l’orizzonte, delimitato dai monti circostanti, si presenta ancora più vicino e a portata di mano. Le chiese con i rispettivi campanili, svettanti come bandiere da posizioni preminenti, richiamano la presenza delle varie comunità rurali, che si sviluppano da Nord a Sud, lungo la linea del mio confine terra/cielo, chiuso a ponente dal Mut Seràda. Ho davanti a me un ambiente fortemente antropizzato, gruppi di case si alternano a macchie frazionate di verde intorno ai principali centri abitati, mentre poco oltre, sino a raggiungere sulla montagna il crinale di spartiacque, isole colturali, sparse qua e là, un tempo sottratte al bosco, richiamano l’esistenza delle poche attività agricole e zoo-casearie rimaste. Con questa penna in mano, lascio scorrere nell’inchiostro spontanee e non mediate riflessioni, che gradualmente prendono forma, anche senza un filo logico apparente. Accetto il rischio di andare fuori tema, ma in questa circostanza al saggio preferisco il racconto. Lo stesso paesaggio che ho di fronte, del resto, è un grande affresco di umanità. 

L'Alta Valle Imagna vista dal balcone panoramico di Recudì

L’occhio cade sui villaggi di Corna, Locatello, Fuipiano, Brumano, Rota, Valsecca, Costa, Roncola, Sant’Omobono, Bedulita, distribuiti in forma altalenante e senza un evidente ordine tra i cinquecento e i millecento metri di altitudine: li osservo attentamente, uno per uno, senza fretta, lasciando cadere il pensiero sulla loro esistenza, cercando di cogliere il passato e il futuro di molti contesti umani, ricercando il filo di connessione tra il tempo e lo spazio di ambienti ancora avvolti da un particolare fascino, ma trovo soltanto il presente. Entro col pensiero nelle singole abitazioni e dialogo a distanza con i loro abitanti di ieri e di oggi, cercando risposte alle tante domande che incalzano, stimolate dall’osservazione partecipata del paesaggio. I centri abitati sono ormai caratterizzati dal continuo e indifferenziato scorrere di un’edilizia di scarsa qualità, esplosa tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, quando prisme, mattoni e cemento hanno avuto la meglio sull’uso della pietra; col binocolo vado in cerca delle poche antiche costruzioni rimaste, sempre meno individuabili a distanza ad occhio nudo. Il passato non è più così evidente e, soprattutto per le nuove generazioni, non è vissuto sul piano epidermico, come lo era per le generazioni precedenti, le quali si inserivano nel solco di antiche tradizioni sociali, economiche, professionali strettamente connesse al territorio di appartenenza. Scorgo vecchi edifici rimasti senza identità, alcuni dei quali ancora sprovvisti di funzioni e in condizioni di degrado, altri radicalmente trasformati e resi ormai anonimi e irriconoscibili. È difficile cogliere, dall’osservazione diretta dei luoghi, quella continuità storica che ha segnato la vita sociale ed economica delle popolazioni vissute su questi medesimi versanti da mille anni a questa parte. Incontro la medesima difficoltà quando cerco di proiettare le comunità della valle dentro alcuni scenari futuri: è difficile cogliere anche il futuro, non solo il passato, da ciò che si vede. Il passato è come se non fosse mai esistito e il futuro è percepito così lontano da non suscitare particolari previsioni: emerge decisamente solo il presente nella sua, a volte sconclusionata e contradditoria, fluttuazione. 

Contrada Canito . Antica casa medioevale

I miei pensieri navigano a vista dentro un orizzonte incerto. Ho la sensazione che stiamo vivendo un lungo periodo di decadenza, per la progressiva diminuzione di vitalità ed efficienza delle comunità territoriali della montagna, come se ci trovassimo nel bel mezzo di un guado: il cammino si fa difficile, i nostri passi affondano dentro un terreno paludoso, ci s’incespica e si cade, per poi ritrovare ogni volta la forza di rialzarsi e riprendere il difficile percorso. Ormai è impensabile tornare indietro. Sappiamo da dove siamo partiti, conosciamo quella sponda lasciata alle spalle, ma non riusciamo ancora a intravvedere quella verso la quale siamo diretti e nemmeno sappiamo quando la potremo finalmente raggiungere. Viviamo un presente carico di contraddizioni, per certi versi difficile da sostenere, ma non possiamo fare diversamente. Ci troviamo nel mezzo di una complessa fase di transizione e di cambiamento, e forse non ce ne siamo ancora accorti. La montagna dei nostri genitori, nella prima metà del Novecento, era sostanzialmente non dissimile da quella dei secoli precedenti, che dal medioevo è giunta pressoché immutata sino ai tempi recenti, ma la montagna che viviamo noi oggi, a maggior ragione quella che sarà dei nostri figli e nipoti domani, si palesa come un luogo decisamente diverso e con caratteristiche in continua evoluzione. Disequilibri. Viviamo dentro la fase generativa di una nuova società, senza possedere i necessari strumenti di orientamento e non ci rimane altro da fare che navigare a vista nel presente, cercando di non farci male e di non andare a sbattere contro i molti ostacoli. Mentre la società rurale preesistente si sviluppava entro la rigida gerarchia verticale della discendenza della famiglia, attraverso la parentela, nel mondo attuale la struttura di trasmissione di esperienze e vissuti è posizionata su una linea orizzontale, sempre più il frutto di continue mediazioni con gli effetti della globalizzazione e gli scambi interculturali. Ciò si riflette anche sui volti dei luoghi della montagna, molti dei quali resi ormai atipici: case e paesi che emulano città, stravaganti architetture, modelli industriali e dei consumi in grado ormai di condizionare la vita e le produzioni anche delle piccole realtà di monte,...  Si susseguono incontri di esperti, Stati Generali delle istituzioni delle terre alte, occasioni d’incontro per cercare di ampliare il panorama delle conoscenze e governare il processo di cambiamento in corso. Tutto pare essere così difficile. Abbiamo rinunciato ai valori e ai comportamenti del vecchio mondo contadino, senza prima avere introdotto i nuovi. Siamo rimasti orfani. Vale invocare la prudenza, anche quale forma di autotutela identitaria: almeno sino a quando non saremo riusciti a superare la fase del guado, è bene portarsi appresso tutto quanto è possibile conservare del patrimonio culturale, materiale e immateriale, della nostra storia sociale. Conservare.

Corna Imagna - Antica Locanda Roncaglia

L’esperienza del Centro Studi Valle Imagna si colloca dentro le contraddizioni della modernità. Il 31 gennaio 1997 il sodalizio culturale si è costituito ufficialmente per atto pubblico, dopo oltre cinque anni di attività informale, optando per una ragione sociale ben definita: Centro Studi di Cultura, Economia e Amministrazione della Montagna. L’intento consisteva nel costituire una sorta di laboratorio permanente di pensiero e di sperimentazione di pratiche di sviluppo per trasferire gli elementi di conoscenza a servizio delle attività concrete della popolazione, per generare virtuose e lungimiranti azioni di governo del territorio, per la difesa dell’ambiente umano della montagna, la tutela delle identità, il progresso delle popolazioni. Le nuove idee sono indispensabili per fare il cambiamento, ma non bastano. Non è sufficiente promuovere ricerche e scrivere libri, perché la montagna ha bisogno di esempi concreti, di testimonianze dirette e personali. La sfida contro il diffuso senso d’impotenza che caratterizza tutti i settori della società rurale tradizionale, uscita sconfitta dal serrato confronto con la modernità, in particolare la denuncia del quotidiano stillicidio dei manufatti diffusi di edilizia storica di pregio, ha innescato alcun significative reazioni, con l’intento di affrontare con determinazione una situazione avversa, in vista di riprendere in mano la regia del cambiamento. Dapprima il Centro Studi si è adoperato per affermare la sua esistenza, sganciandosi dalle dipendenze istituzionali e dai cambiamenti di umore della politica, acquistando e ammodernando una propria sede a Sant’Omobono Terme, nel capoluogo naturale di fondovalle, dove elaborare in autonomia utili strategie di intervento. Quindi, accanto alle attività di ricerca e nel campo editoriale, è stato elaborato un percorso su un binario parallelo impostando diverse azioni di recupero dei beni di edilizia rurale di tradizione, e immettere così nel contesto nuova linfa vitale, rigenerando vita sociale ed economica mediante la rifunzionalizzazione di alcune antiche contrade e la creazione di nuovi posti di lavoro. Così facendo, dopo l’acquisto di una casa contadina nella contrada medioevale della Roncaglia, a Corna Imagna, e averla restaurata, è stata attivata l’Antica Locanda che prende il nome dall’insediamento omonimo: da quasi otto anni ormai rappresenta un prestigioso punto di riferimento per tutta l’Alta Valle Imagna. Nell’ambito di un programma più ampio di accoglienza nello spazio rurale e di animazione socio-culturale, anche sulla scorta della positiva esperienza sopra citata, è stato attuato il progetto di restauro di una parte del complesso monumentale di Cà Berizzi, una residenza nobiliare e produttiva, anch’essa risalente al periodo tardo medioevale, dove, accanto alla collocazione dei diversi fondi librari e archivistici del Centro Studi, ha preso piede la Bibliosteria, con servizio di ristorazione e pernottamento. Contemporaneamente il Centro Studi ha acquistato una caratteristica stalletta, che si affaccia sulla corte della Locanda Roncaglia, e, dopo averla restaurata ha restituito alla popolazione due locali, quello al piano terra destinata alla ristorazione, mentre al piano superiore una Sala di Lettura aperta al pubblico offre agli escursionisti e agli ospiti della Locanda opportunità varie di conoscenza. Attualmente, in vista di potenziare il processo di rivitalizzazione della contrada Arnosto di Fuipiano, è stato predisposto il progetto Berghemhaus: il Centro Studi attende che il Comune di Fuipiano porti a compimento la propria parte di intervento, per poter subentrare nell’ultimazione dei lavori e l’avviamento dell’attività gestionale. 

Fuipiano Valle Imagna - Contrada Arnosto

Rimango seduto al tavolino, che funge da improvvisato scrittoio. Alzo di frequente lo sguardo e ogni volta mi si ripresenta dinnanzi il catino della valle, colto nel suo insieme, ma quando chino la testa e rivolgo gli occhi su questo foglio di carta, colgo tutta le difficoltà del momento nel rappresentare, attraverso la scrittura, un ambiente decisamente affascinante, ma anche complesso e carico di contraddizioni. Le riflessioni si sovrappongono e vagano nell’universo dei miei pensieri, sempre in movimento: alcune persistono, altre fuggono via, improvvisamente, senza un motivo apparente, io non riesco più a riprenderle. Pensieri di solito silenziosi e pacifici, a volte tumultuosi, come le bianche nuvole ballerine si rispecchiano e danzano nel cielo blu terso di una giornata caratterizzata da elementi naturali di forte contrasto. Cà Berizzi l’ho proprio qui di fronte, sul versante opposto, dall’altra parte della Valle del Gandino, e, mentre osservo quel grazioso insediamento col binocolo, ricostruisco in pochi attimi le varie tappe di un percorso generativo di ambienti e persone avviato quasi trent’anni fa, ancora oggi gravido di contenuti, valori e opportunità che di seguito cerco di raccontare per sommi capi. Il suo immobilismo lo fa sembrare spento, senza anima, inerte, quando invece il prezioso insediamento comunica in continuazione con i linguaggi che gli sono più congeniali: forme, architetture, materiali, spazi e ambienti esterni connessi, nature vegetali e animali che respirano ogni giorno del soffio vitale dell’universo, persone in grado di vivere e interpretare luoghi particolari. Lo stesso dicasi per la montagna, che per molti rimane un ambiente statico, chiuso, tradizionalista,… e via con una sfilza di altri luoghi comuni. In realtà la montagna ha significato sì sacrificio e rinunce, ma ha stimolato ingegno e creatività, proiettando i suoi abitanti verso l’Infinito, dove tutto è possibile, e suscitando in essi grandi aperture sul mondo intero, peregrinato da centinaia di migliaia di valligiani nel corso di diverse migrazioni nei secoli scorsi. La montagna oggi è in cerca di idee, progetti, persone disposte ad interloquire positivamente con essa: ha bisogno di amore, non di denaro. Sono sempre le persone a fare la differenza, non le cose. Allora anche il cambiamento diventa possibile, soprattutto quando si sviluppano preziose sinergie locali tra il livello culturale e di pensiero e quelli economico e istituzionale di governo del territorio: in questo caso scatta il miracolo, si crea una situazione quasi magica, fuori dal comune, che consente alla comunità di effettuare un grande balzo in avanti. 

Corna Imagna - Contrada Cà Gavaggio

La mia montagna è quella nella quale sono nato e dove vivo tuttora, è questa che vedo di fronte a me, che si rispecchia nel cielo dell’Imagna. La montagna non è uno stereotipo, un ambiente precostituito o generalizzato, bensì un contesto umano acquisito sulla base dell’esperienza diretta delle persone che lo abitano. È un ambito vitale in continua trasformazione, per lo più fortemente antropizzato, come lo spazio prealpino, e ricco di ambienti anche assai diversi tra loro. Non esiste la montagna. Esistono le montagne, le culture, le identità di luogo, gli insediamenti rurali, i territori. Ciascuno di questi ambiti vive una propria dinamica ed esprime scenari di umanità differenti, percorsi sociali ed economici particolari, che rispecchiano la scena naturale dello spazio disponibile e la vita dei gruppi sociali. Ciascuno di noi vive una relazione particolare con la propria montagna, che non è solo un luogo piacevole per l’escursionismo del fine settimana, oppure l’ambito della sperimentazione di pratiche ambientali, ma soprattutto il luogo di dimora abituale, dove le persone vivono e lavorano quotidianamente. 

Fuipiano Valle Imagna - I Tre Faggi

È talmente ripido il versante su cui mi trovo a scrivere, all’ombra di un grosso noce che protegge dai raggi ancora assai caldi del sole agostano, che quanti mi raggiungono per la prima volta, trattengono persino il respiro di fronte al paesaggio mozzafiato che si prospetta loro dinnanzi, come fa il nuotatore prima di tuffarsi dal trampolino. Un tuffo nel cuore dell’Alta Valle Imagna, una montagna di modeste dimensioni, fatta di piccoli numeri: piccoli paesi, piccole contrade, piccoli allevamenti, piccoli caseifici di monte, piccole aziende agricole e artigianali, piccole isole colturali con stalletta e praticello e pascolo e boschina,… La ripartizione delle aree rurali e urbane in piccole particelle, tutte affrancate ai privati, frutto di un lungo processo di radicamento delle popolazioni passate sul proprio territorio, occupato sino alle quote disponibili più elevate, fa da cornice a un quadro ricco di relazioni di prossimità, la cui struttura socio-economica difficilmente consente di realizzare grandi numeri, ossia non è strutturata per arricchire facilmente le persone, però consente loro, grazie alla particolare qualità ambientale, di vivere in armonia con se stessi e la terra che si calpesta tutti i giorni. Mè contentàs de chèl che s’gh’à!... - insegnavano gli anziani. Uno spazio davvero a misura d’uomo, che però si percepisce soltanto quando si rinuncia a trasferire quassù i modelli produttivistici e dei servizi quantitativi propri della realtà cittadina e industriale. Occorre riuscire a fare a meno di ciò che non è strettamente necessario. 

Strozza - Il caratteristico Museo contadino

Non solo la montagna è il luogo dei piccoli numeri, un tempo caratterizzati da un’economia di sussistenza, ma rappresenta anche l’ambito delle relazioni di comunità. La montagna non è fatta per vivere da soli, ma insieme agli altri. Lo documentano gli insediamenti organizzati per contrade, le architetture abitative concentrate in pochi spazi dove vivevano molte persone, le famiglie estese e con numerosi componenti le quali presidiavano davvero i territori ed esercitavano efficaci forme vicinali di governo della ruralità. Nelle antiche famiglie della montagna i beni collettivi hanno sempre prevalso su quelli individuali, quelli della famiglia rispetto alle esigenze specifiche dei singoli membri. Sulla tavola dei commensali non c’erano tanti bicchieri, ma una scodella per tutti, che passava di bocca in bocca, e così pure i capi d’abbigliamenti si trasferivano da un figlio all’altro. Il paese fungeva da contenitore delle contrade; le contrade, a loro volta, con case e stalle le une a ridosso delle altre, strette da una formidabile alleanza, ospitavano le famiglie, le quali alimentavano e proteggevano i singoli componenti. Questi ultimi, in relazione alle rispettive parentele, esercitavano e trasmettevano vere e proprie tradizioni insediative, sociali, economiche e professionali, in grado di tenere insieme il gruppo e di rafforzare la sua capacità di azione e di rappresentanza esterna. La montagna, poi, soprattutto nei secoli precedenti, ha rappresentato lo spazio delle libertà e delle autonomie. Dal medioevo sino a tutta la prima metà del secolo scorso, le terre alte hanno costituito un rifugio per quanti volevano sganciarsi dal dominio imperante dei feudatari e proprietari delle terre della Bassa, ottenendo così spazi di affermazione delle famiglie rurali, ambiti privilegiati dove poter esercitare espressioni politiche e religiose lontano dai centri del potere. Libertà e autonomia sono come le due facce della stessa medaglia: due comportamenti avanzati parallelamente, uno accanto all’altro, nello sforzo comune di rafforzare organizzazioni economiche rurali fondate sulla famiglia e la proprietà. In Valle Imagna ci sono voluti quasi mille anni per costruire l’attuale geografia politica e religiosa, dai primi secoli dopo l’anni Mille, quando le cappellanie e le diverse comunità locali, soprattutto quelle più decentrate, incominciavano a rivendicare la propria esistenza separata rispetto all’autorità della Pieve, del Vescovo di Bergamo e del primo Comune di Vallimagna. Una lunga stagione di conquista delle autonomie locali, durata sino a tutto l’Ottocento, ha modellato la struttura istituzionale e di espressione dei poteri locali giunta sino ai nostri giorni. È la valle che mi si presenta davanti agli occhi ogni qualvolta alzo lo sguardo verso il Resegone. Allora provo a chiudere gli occhi e dal presente torno al passato, mentre osservo, sfidando la distanza del tempo, gruppetti di contadini mentre scendono sino alla Pieve di Lemine per celebrare il loro matrimonio o per battezzare i loro figli; oppure gruppi di emigranti, con zaino in spalle, camminare in silenzio sulla mulattiera selciata, diretti verso terre lontane per lavoro; ma anche singoli contadini, armati di rastrelli e sdìrne, intenti alla fienagione; pellegrini diretti verso il Santuario della Cornabüsa per celebrare ogni anno la grande festa settembrina; ribelli provenienti dai vari villaggi, con forche imougnate come lance e forse anche qualche vecchio archibugio, incitati dai parroci, diretti verso la città per combattere contro l’avanzata delle truppe napoleoniche. Vedo soprattutto tanti sacrifici, fatiche immani per difendere, tutti i giorni, per tutta la vita, la piccola proprietà e la famiglia, la libertà e l’autonomia. Quando riapro gli occhi sulla realtà, la penna che impugno incomincia a farsi pesante e ormai anche l’ultimo raggio di sole si sta spegnendo fò drì a Seràda. La valle si prepara alla sera e le famiglie, ora come allora, si ricompongono a bàeta, davanti a un bel piatto di minestra fumante…

Corna Imagna - Bibliosteria di Cà Berizzi


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