Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da gennaio, 2022

LA RINASCITA DI UN MANUFATTO DI EDILIZIA RURALE DI PREGIO

Agli escursionisti e ciclisti, cavallerizzi e gitanti, che percorrono - chi abitualmente e chi per la prima volta - la strada panoramica da Berbenno in direzione di Recüdì , l’antica e isolata contrada rurale disposta sul versante occidentale del Monte Poren, sotto la protezione della bella chiesetta di San Piro , svettante sulla cima col suo separato campaniletto, non passa certamente inosservata una piccola costruzione di pietra dal carattere quasi fiabesco, proporzioni umili e solo apparentemente semplici. La si incontra dopo aver camminato su una strada rurale pianeggiante per circa due chilometri, partendo da Cà Bafé e attraversando in successione i nuclei abitati di Prato Beato, Caégie e Ronchècc , nell’alternanza tra boschi, prati e pascoli inseriti in un contesto dai caratteri ambientali, urbanistici e storici ancora ben riconoscibili e di notevole interesse paesaggistico. Prospettive mutevoli stimolano il viandante ad un continuo confronto con la realtà prossima, ai margin

LA PULT, NARRAZIONE VIVENTE DI ESPERIENZE TRASCORSE E ATTUALI

  Sia l’abate Angelini (sec. XVIII) che il Tiraboschi (sec. XIX), nei loro rispettivi dizionari, non dedicano troppo spazio alla descrizione della pult , un piatto comunque assai diffuso nella dieta contadina sulle Orobie. Il primo la descrive vagamente come una sorta di poltiglia, accostandola alla polenta, ma senza distinguerne i caratteri, mentre il secondo la considera una sorta di indefinita farinata di granoturco cotto in molta acqua, come la polenta ancora annacquata e in fase di prima cottura, quindi non ancora addensata. Diversamente, invece, nel linguaggio comune del giorno d’oggi, la polta non è altro che una polentina di farina bianca, quindi di frumento, considerata forse ancora cibo ordinario della povera gente, un po’ come il pastaròt per le galline o il pastù per i maiali.   In realtà la pult, nella versione tramandata nella famiglia di chi scrive, è sempre stata molto di più, una sorta di polentina dall’aspetto semisolido ottenuta dall’impasto e

NELLA PICCOLA MISSIONE DI SCHAAN...

  Più volte, nel corso degli ultimi anni, ho raggiunto Don Egidio Todeschini nella sua residenza di Schaan, la cittadina alpina del piccolo Stato del Liechtenstein , dove il caro amico svolge da circa ventitré anni il suo prezioso apostolato presso la Missione Cattolica Italiana, pure sede di delegazione consolare. Egli aveva in precedenza operato, quale prete fidei donum incardinato nella diocesi di Bergamo, nelle analoghe Missioni di Yverdon, Morges, Herisau. La sua è stata, e continua a essere tuttora, una vita dedicata all’emigrazione: prima bergamasca, quindi italiana, ora vissuta in una dimensione multietnica nella Confederazione d’Oltralpe e nei territori confinanti di lingua tedesca. In poco meno di quattro ore ho percorso, rinchiuso nell’autovettura condotta magistralmente dall’amico Maurizio, i circa trecentocinquanta chilometri di distanza che mi separano dalla meta finale, risalendo l’autostrada che da Chiasso prosegue verso la Svizzera interna, in direzione di Z

DICO SÌ ALLA NUOVA "STRADA DEI BERGAMINI"

  "Prima Bergamo", 14 gennaio 2022 C’era un tempo in cui, lungo le praterie montane della Costa del Palio, e poi a seguire in direzione della Culmine di San Pietro, durante il periodo estivo dell’alpeggio le vacche brulicavano a migliaia come le mosche il mese di agosto.  Da maggio a settembre le contrade e i pascoli sulle terre alte si ripopolavano: bovine e bergamini ritornavano a riempirsi i polmoni di aria fresca, frizzante, libera, dopo oltre sei mesi di clausura nelle cascine della Bassa.  La Valle Imagna era una delle rotte di transito per le caroàne delle famiglie bergamine dirette ai monti con i loro armenti: dopo aver lasciato alle spalle le sponde dell’Adda, poi del Brembo, infine dell’Imagna, si accingevano a conquistare l’ultima e più faticosa meta, quella della rata da Locatello a Fuipiano e i pascoli soprastanti, superando un dislivello di oltre seicento metri in pochi chilometri; come tanti drappelli di Alpini, desiderosi di conquistare l

UN POMERIGGIO NEL PASCOLO A FÀ LA FÒIA

Aggrappato coi piedi al pendio pascolivo scosceso della Rìa dol C ö ch, a Prabicù , nonostante la stabilità della mia persona sia costantemente minacciata da un ginocchio dolorante che rende il passo incerto, procedo alla pulizia del versante dal fogliame dei castagni, in modo da favorire nei prossimi mesi la crescita di nuova e fresca erba per l’alpeggio dei bovini. Mi spingo sino al punto più elevato, raggiungendo il margine del giovane boschetto di latifoglie, che ogni anno si protende in avanti, per conquistare nuove aree da “rinaturalizzare”. Anzi, cerco di addentrarmi un po’ nel bosco, facendomi strada tra rami e cespugli intrecciati, col lungo tubo del soffiatore, azionato dal motore a scoppio che porto sulle spalle a mezzo di due robusti spallacci. Il forte getto d’aria ripulisce davanti a me la cotica erbosa dal fogliame essiccato, che sarà radunato in mucchi in fondo al pascolo e trasportato poi con il trattore sö stalòt de la fòia , dove andrà a incrementare la scorta nec