Agli escursionisti e ciclisti, cavallerizzi e gitanti, che percorrono - chi abitualmente e chi per la prima volta - la strada panoramica da Berbenno in direzione di Recüdì, l’antica e isolata contrada rurale disposta sul versante occidentale del Monte Poren, sotto la protezione della bella chiesetta di San Piro, svettante sulla cima col suo separato campaniletto, non passa certamente inosservata una piccola costruzione di pietra dal carattere quasi fiabesco, proporzioni umili e solo apparentemente semplici.
La si incontra dopo aver camminato su una strada rurale pianeggiante per circa due chilometri, partendo da Cà Bafé e attraversando in successione i nuclei abitati di Prato Beato, Caégie e Ronchècc, nell’alternanza tra boschi, prati e pascoli inseriti in un contesto dai caratteri ambientali, urbanistici e storici ancora ben riconoscibili e di notevole interesse paesaggistico. Prospettive mutevoli stimolano il viandante ad un continuo confronto con la realtà prossima, ai margini dei suoi passi, ma pure con quella che si traguarda in lontananza, poiché le limpide e terse giornate invernali, dall’aria frizzante e trasparente, consentono persino di cogliere il profilo degli Appennini.
Poco prima di ritrovarsi immersi nel pratone di Recüdì, dove lo sguardo spazia invece sul paesaggio mozzafiato dell’Alta Valle Imagna, col Resegone di fronte e i diversi villaggi, riconoscibili dai molti campanili, che dialogano quotidianamente tra loro dalle rispettive posizioni preminenti su poggi e alture, un complesso edilizio dalle ridotte dimensioni, costituito da elementi ordinatamente disposti, uniti, collegati, richiama l’attenzione e suscita la curiosità dei passanti. Completamente interrato sui tre lati dentro il versante della montagna, spiccano soprattutto il tetto a capanna, con le due falde ricoperte da lastre di pietra locale e le gronde che rasentano il terreno, e la facciata principale rivolta a mezzogiorno, dotata di una porticina d’accesso ai misteri del sottosuolo. Un caratteristico timpano definisce la superficie verticale, ricoperta da un solido manto lapideo di copertura, che funge da cappello del manufatto di pregio, mentre le larghe lastre posate sulla linea sommitale di colmo si protendono verso il cielo come tante lame, simili ad altrettante penne alpine. Uno dei tanti manufatti di edilizia solo apparentemente minore, di cui la Valle Imagna è ancora ricca, nonostante l’incuria e l’assenza di vocazioni attuali e concrete abbia condannato molti di essi all’incuria e al completo disfacimento.
Ristrutturato pochi mesi or sono dall’Azienda Agricola Recudino di Carminati Francesco, in vista di restituire all’antico manufatto le sue originarie attribuzioni, ancora utili oggigiorno alla produzione casearia e all’affinamento dei formaggi in ambienti naturali e concepiti “sottoroccia”, ol casèl de Recüdì è chiamato a svolgere anche un’esplicita azione di documentazione, per trasmettere alle nuove generazioni elementi concreti di conoscenza della vita quotidiana del passato, come pure per onorare l’immane lavoro e le antiche passioni degli avi, memori delle loro fatiche, di tanti sacrifici e di piccole-grandi soddisfazioni. Non mi dilungo qui nel descrivere i caratteri e l’utilità del casèl, già ampiamente descritti nel precedente post del 13 gennaio 2020, cui rimando il lettore. La riflessione che voglio proporre è un’altra.
Il manufatto lapideo esercita sui passanti un’indubbia attrazione: essi esprimono subito la sensazione di trovarsi dinnanzi a qualcosa di insolito, fuori dall’ordinario, poco abituale, che stuzzica il desiderio di conoscenza. Soprattutto agli occhi dei più giovani, la costruzione appare qualcosa di incomprensibile, più connessa alla fantasia che alla realtà, nonostante appaia molto concreta. La prolungata inattività della costruzione, rimasta da tempo priva della sua funzione primaria di frigorifero ante litteram e preziosa fonte di acqua sorgiva, ne ha determinato la sua scomparsa dal panorama degli interessi rurali emergenti. Caduto in desuetudine, il manufatto è stato di fatto condannato all’oblio per diversi decenni, sin quando il recente restauro ha riaperto uno spiraglio di conoscenza e di riattamento.
C’è stato chi l’ha scambiato per una chiesetta, o un piccolo santuario, e ha chiesto se fosse prevista anche la costruzione di un suo campaniletto, mentre altri l’hanno erroneamente identificato nel monolocale di una caratteristica casetta tradizionale ad uso dei turisti, anzi alcuni hanno voluto sapere se fosse affittabile e da quando. Interpretazioni fuorvianti, indici di un vasto scollamento tra la vita quotidiana delle persone e la cultura del territorio, della quale troppi elementi costitutivi sono diventati estranei al panorama abituale della popolazione. Sono venute meno molte radici rurali e le relazioni di appartenenza con l’ambiente, di oggi e di ieri, non appaiono sempre così evidenti. È la chiara dimostrazione che non è possibile dare più nulla per scontato e anche l’esistenza di un semplice casèl - sino a pochi decenni fa presente nel linguaggio e nella conoscenza comune – oggi va di nuovo documentato, illustrato, raccontato. Intelligente e necessaria, da questo punto di vista, è stata l’iniziativa intrapresa dall’Azienda agricola Recudino di apporre, a fianco del manufatto, una bacheca recante un cartello che illustra funzioni, storia, leggende e caratteristiche dell’antico casèl dol làcc de Recüdì, utile per ricondurlo ad una corretta conoscenza. Un indubbio servizio alla storia e al sapere, illustrativo di un contesto caratterizzato da una molteplicità di elementi e aspetti interdipendenti, organizzati con sapienza per favorire e sostenere l’insediamento stabile delle famiglie nella vecchia contrada, un tempo assai più estesa e ricca di manufatti, rispetto a come si presenta al giorno d’oggi. Ogni elemento del disegno pensato e articolato di territorio aveva una sua specifica funzione: non c’era nulla di superfluo o lasciato al caso, ma ogni particolare rispondeva a precise istanze di sopravvivenza. Il corretto approccio al casèl, che introduce il gitante alla contrada di Recüdì, rappresenta un’utile chiave di accesso per la comprensione anche degli altri elementi naturali e artificiali che costituiscono l’assetto identitario e storico di un luogo particolare, dove l’uomo ha deciso di vivere e di lavorare, fissando lì e non altrove il suo posto nel mondo.
I lavori di restauro sono stati ultimati, sia per quanto concerne il riordino delle parti strutturali, a cominciare dalla volta a sìlter e dalla soprastante copertura in piöde tradizionali, sia dal punto di vista dell’inserimento del manufatto nel versante, mediante la definizione delle sue adiacenze e la rimessa in funzione dell’impianto di raccolta e deflusso dell’acqua sorgiva, captata da un cunicolo all’interno e quindi convogliata nelle diverse vasche, dentro e fuori, in funzione dei diversi utilizzi. Nelle prossime settimane l’Azienda Recudino riattiverà, in via sperimentale, la stagionatura di alcuni formaggi di sua produzione (soprattutto Cornèl e Recüdì), destinati al consumo familiare, per riproporre soluzioni di affinamento negli ambienti naturali di sempre, proprio come avveniva un tempo.
Nel frattempo, a conclusione di una giornata calda e soleggiata, un po’ ventosa, tipica di primavera inoltrata, non certo in linea con le gelide attese della fine del mese di gennaio – proprio durante i dé de la mèrla, che dovrebbero essere i più freddi dell’anno – Francesco e Mirella sono intenti a ripulire il versante soprastante al casèl dal deposito di fogliame del castagneto e della boschina cedua, liberando la natura che si appresta a risorgere con macchie di primule sparse qua e là, margheritine e, più in generale, da un humus pascolivo ricco di componenti erbacee e floreali. Chi avrebbe mai detto che, a Recüdì, il 30 gennaio si potesse pranzare all’esterno, nel praticello antistante al caseificio, riscaldati dal sole caldo delle tredici? Non ci avrebbero pensato, nemmeno lontanamente, innanzitutto gli anziani del posto, per i quali il freddo pungente delle loro stagioni invernali incuteva timore e preoccupazione.
Gli impegni incalzano e, consumato un pasto fugace, mentre Francesco già pensa al prossimo lavoro per l’abbattimento di una grossa pianta di noce essiccata nel prato e Mirella si accinge a riordinare il caseificio, pronto per la cagliata serale, insieme ci gustiamo il piacere di questo ritrovato tesoro, consapevoli che ol casèl di Recüdì è molto di più di un semplice manufatto in pietra…
Bellissimo... complimenti per l'ottimo restauro storico del casello.
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