"Prima Bergamo", 14 gennaio 2022
C’era un tempo in cui, lungo le praterie montane della Costa del Palio, e poi a seguire in direzione della Culmine di San Pietro, durante il periodo estivo dell’alpeggio le vacche brulicavano a migliaia come le mosche il mese di agosto.
Da maggio a settembre le contrade e i pascoli sulle terre alte si ripopolavano: bovine e bergamini ritornavano a riempirsi i polmoni di aria fresca, frizzante, libera, dopo oltre sei mesi di clausura nelle cascine della Bassa.
La Valle Imagna era una delle rotte di transito per le caroàne delle famiglie bergamine dirette ai monti con i loro armenti: dopo aver lasciato alle spalle le sponde dell’Adda, poi del Brembo, infine dell’Imagna, si accingevano a conquistare l’ultima e più faticosa meta, quella della rata da Locatello a Fuipiano e i pascoli soprastanti, superando un dislivello di oltre seicento metri in pochi chilometri; come tanti drappelli di Alpini, desiderosi di conquistare la vetta sulla quale esercitare l’atteso presidio.
Il villaggio di Morterone era un crocevia importante di relazioni e di esperienze vicine e lontane, che lassù s’incontravano, e l’estesa valle omonima, ricca di contrade rurali e insediamenti umani sparsi, racchiusa nell’avvallamento tra la Costa del Palio e la Culmine di San Pietro, cessava improvvisamente di essere la “Valle dei silenzi eterni” - come la definì Don Piero Arrigoni, parroco partigiano di Morterone – per diventare un ambito privilegiato dove tessere importanti relazioni sociali ed economiche.
La chiesetta della Culmine dava anch’essa il benvenuto all’avvio della nuova stagione dell’alpeggio riaprendo i suoi battenti per esercitare le funzioni proprie della parrocchia bergamina estiva, per anni guidata da monsignor Figini, già Rettore del Seminario Vescovile di Venegono: lo avevano soprannominato il “Parroco dei Bergamini” e la domenica mattina non iniziava la Messa fin quando non arrivavano anche gli alpeggiatori di Mus-ciàda, la località più distante sull’alpe.
Proprio lassù, la fine di giugno, la fèsta di San Piéro ospitava una sorta di fiera bergamina, dove allevatori e commercianti, mulattieri e stagionatori s’incontravano per stabilire il prezzo degli stracchini e del loro trasporto a valle, soprattutto nelle casére della Valsassina, per tutta la stagione.
La montagna era in fermento, costituiva un forziere di interessi e pullulava di persone, non solo di vacche. Non c’era pascolo che non fosse presidiato da una famiglia, lungo l’esteso areale bergamino disposto in quota tra l’Alta Valle Imagna, la Valsassina e la Valle Taleggio. In relazione alla loro collocazione sulle alture, le famiglie di allevatori di vacche e di abili casari convergevano, soprattutto nei giorni di festa, sui vari villaggi di Brumano, Fuipiano, Morterone, Ballabio, Cassina, Barzio, Avolasio, Vedeseta, sino a raggiungere i Piani di Artavaggio e i pascoli tra Pasturo, Introbio e Valtorta, arricchendo le relazioni con quegli abitanti stabili.
Le alture erano meta privilegiata per l’incontro tra le persone, elementi naturali di connessione tra i gruppi sociali distribuiti nelle contrade sui versanti opposti delle montagne, spazio non solo per il lavoro, ma anche di svago e di festa, soprattutto quando gruppi di giovani si radunavano la domenica presso alcune principali cascine di monte, le quali si trasformavano in palcoscenico per la diffusione di canti di montagna e religiosi, che si trasmettevano e dialogavano da un versante all’altro. Incontri propedeutici alla costruzione di relazioni durature, che spesso portavano anche al matrimonio, alla condivisione di ambienti, condizioni sociali e situazioni familiari, alla trasmissione di esperienze, conoscenze e abilità personali.
La montagna ha sempre rappresentato lo spazio di vita della comunità rurale: un ambito dove si vive insieme e non da soli, uno spazio di cooperazione. Proprio lassù, ai piedi della tribulìna della Costa del Palio, i parroci di Morterone e Brumano s’incontravano regolarmente e, inginocchiati ai piedi dell’effigie della Madonna, si confessavano a vicenda. Ambienti e situazioni d’altri tempi richiamano alla memoria una sorta di isola culturale caratterizzata dalla medesima tradizione socio-economica e insediativa, accomunata da architetture e attività rurali omogenee, culla della civiltà dello stracchino, epicentro di una cultura casearia di prim’ordine, che ha saputo contraddistinguere il mercato lombardo dei formaggi e non solo.
Questo tempo, così vicino e nel contempo così lontano, è durato sino a tutta la prima metà del Novecento, quando sulla Costa del Palio prevalevano aree e pascolo ed estese faggete, prima che i rimboschimenti artificiali con conifere estranee all’ambiente avessero radicalmente trasformato il volto dei luoghi e la struttura stessa di pascoli e boschi.
Il crollo della civiltà rurale, il venir meno della transumanza dei bergamini, le nuove dinamiche emergenti connesse alla centralità del mondo cittadino e industriale rispetto a quello rurale e dell’artigianato locale hanno prodotto una situazione diffusa di abbandono delle terre di monte e delle attività che ne avevano caratterizzato l’esistenza nei secoli, mentre lo spopolamento ha determinato una complessa situazione di depauperamento degli ambienti umani.
La fitta rete di mulattiere e sentieri, che dava significato a un’estesa tessitura di relazioni tra villaggi, contrade e aree di pascolo, per l’accesso alle varie infrastrutture agrarie e di servizio di monte, è caduta in desuetudine e molti percorsi sono diventati irriconoscibili.
Sui versanti della Costa del Palio parecchi ruderi, residui di antichi presidi umani, documentano ancora oggi l’estesa occupazione bergamina del suolo. Come pure molte aree di pascolo sono attaccate in continuazione dall’avanzare del bosco, per la presenza di piante e arbusti non più consoni all’alpeggio e all’alimentazione del bestiame in libertà, anch’esso ormai ridotto ai minimi termini.
Quegli ambienti di un tempo, specchio e orgoglio dell’attività dei bergamini, stanno diventando oggi spazi di conquista per colonie di cinghiali e ambiti dove si sono innescati processi di rinaturalizzazione selvaggia. “Un giorno su questi pascoli torneranno i lupi!...”, mi confidò un giorno Battista Chiaveri, uno dei più conosciuti e stimati bergamini della Valle Taleggio. E’ la descrizione sommaria di una montagna rimasta orfana dell’uomo, suo alleato e compagno di sempre, protagonista nella storia di un lungo cammino di umanizzazione del Creato o di un processo evolutivo di lontana provenienza.
Un recente provvedimento del Consiglio regionale della Lombardia ha stanziato importanti fondi per ripristinare la storica relazione sulle terre alte delle nostre valli, mediante la messa in sicurezza, un leggero ampliamento e la stabilizzazione del sedime viario della strada interpoderale realizzata ormai diversi decenni or sono che mette in relazione il villaggio di Brumano, in Alta Valle Imagna, con quello di Morterone e, da lì, prosegue verso la Culmine di San Pietro, in connessione quindi con l’Alta Valsassina e la Valle Taleggio.
Si tratta di un servizio essenziale e irrinunciabile per la salvaguardia e lo sviluppo dei territori dell’antico areale bergamino, anche sul terreno della messa in atto di azioni solidali nei confronti di quelle famiglie che continuano a vivere in quota e che, più di altre, beneficiano quotidianamente dei servizi viari. Il pensiero corre ai diversi amici di Morterone, che attendono da decenni una strada di collegamento con la Valle Imagna e la Valle Taleggio, in alternativa alla pericolosa e non sempre percorribile strada verso Ballabio.
L’atteso collegamento ripristina innanzitutto la connessione storica tra i diversi territori coinvolti: non una relazione accidentale, ma essenziale e un tempo abituale. Anzi, non sarebbe male che, già in questa fase pre-progettuale, l’iniziativa fosse subito caratterizzata da questo fondamento storico culturale, identificandola come “Strada dei Bergamini”, prevedendo quindi un corollario di azioni per inserire la nuova infrastruttura viaria all’interno di un programma di sviluppo e di conoscenza territoriale più ampio.
L’opera si pone in sintonia con l’itinerario denominato “Strada dello stracchino e della pietra”, proposto anni fa dal Centro Studi Valle Imagna per sostenere iniziative di valorizzazione territoriale, animazione culturale e promozione dell’accoglienza nello spazio rurale, anche a sostegno delle attività zoo-casearie, commerciali e insediative ancora presenti nei villaggi e sui versanti montani del circondario. Il tracciato attuale consiste in una delle tante strade bianche che versano regolarmente in condizioni di degrado e che non fanno certo onore alla montagna e alle popolazioni che la abitano e vi lavorano.
Confidiamo in un intervento in grado di ridisegnare un percorso stradale decoroso e non più simile all’alveo di un torrente in piena, ma principalmente diretto a favorire il collegamento tra le popolazioni della montagna e riconsiderare le linee di spartiacque delle nostre valli quali elementi di unione e congiunzione tra realtà storicamente affini e omogenee.
Tutto ciò è amore e difesa dell’ambiente umano.
Ma ci auguriamo soprattutto che, una volta tanto, gli abitanti della montagna non vengano costretti a circolare su strade regolarmente dissestate ogni qualvolta si verifica un temporale, con dispendio continuo di risorse per ripristinare un sedime malconcio e ai limiti della transitabilità.
Chi scrive utilizza spesso l’auto e il trattore per le varie incombenze dell’azienda agricola di famiglia e vi assicura che certe strade bianche, soprattutto quelle in accentuata pendenza, sono più simili a percorsi accidentati in grado di provocare danni e seri pericoli alle persone, alle cose e all’ambiente. E’ difficile lavorare in queste condizioni!
La montagna è ancora carente di servizi e infrastrutture primarie, argini contro lo spopolamento e l’abbandono delle poche attività rimaste, e ha bisogno, come del pane, di collegamenti e relazioni con l’esterno.
Un amico mi ha recentemente scritto: “In montagna non si può più fare nulla … solo in pianura si possono realizzare autostrade e milioni di volumi di cemento. Evidentemente la natura in pianura non esiste…”. Con buona pace di coloro per i quali la montagna è solo il luogo delle belle passeggiate…
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