Un interminabile applauso, durato parecchi minuti, è partito spontaneo nella chiesa parrocchiale di Fuipiano al termine della prima visione del film-documento L’ultimo bergamino (sabato 26 settembre 2020). Quei battiti di mano, che continuavano a scrosciare, hanno riversato sul protagonista del filmato un enorme carico di affetto e riconoscenza e, come quando si rompono gli argini di una diga, un’impareggiabile quantità di sentimenti, accumulatisi durante la proiezione, si è simultaneamente liberata: una naturale reazione di fronte al forte turbamento e l’intensa partecipazione dei convenuti rispetto alle vicende narrate. Lui, il primo attore del lungometraggio (sessantuno minuti), Carlo Rota di Locatello, ol Carlì, seduto al primo banco, ha assistito imperterrito allo scorrere delle scene, osservando sul grande schermo diversi frammenti della sua vita, ricostruiti attraverso la testimonianza diretta e l’allestimento di un set cinematografico nella campagna di Inzago. Lo guardavo, di tanto in tanto, cercando di cogliere, dall’espressione del viso, reazioni emotive, ma lo sguardo impassibile del vecchio bergamì, privo di qualsiasi movimento, non mi ha consentito di percepire cosa stesse provando. Non lasciava trasparire nulla. Carlì era lì, proteso verso lo schermo, letteralmente immobile. Nemmeno un attimo di distrazione. Lui e il film erano la stessa cosa. Di più: sono certo che l’elevata partecipazione emotiva all’evento inatteso gli ha consentito di entrare dentro il filmato e, nello scorrere delle immagini, penso sia riuscito a rivivere intensamente i diversi momenti di vita evocati: immerso nell’atmosfera magica della cagliata, resa ancora più soave dalla musica di una dolce Ave Maria, come pure nel trambusto della transumanza, con i molti impegni e movimenti repentini accompagnati dalla musica di marcia. Carlì era come isolato dalla folla nel contesto di quella chiesa e i suoi occhi, sempre fissi sul grande telone, lo hanno catapultato dentro le vicende narrate, che hanno agito nei suoi confronti come ufficiale restituzione in fotogrammi di una vita intensa dedicata alle vacche, alla famiglia, al lavoro. Si è trovato di fronte allo specchio della sua esistenza nobilitata da sentimenti antichi, sinceri e generosi. Anche dinnanzi a quel fragoroso uragano di suoni secchi e forti, prodotti dal persistente battimano, il nostro protagonista ha mantenuto un’insuperabile compostezza, con molto riserbo, tenendo probabilmente a freno il consueto atteggiamento estroverso, che lo rende amico di tutti. Siamo in chiesa, il luogo dove si ascolta e non si parla. En césa mè fà sito!... – gli hanno sempre insegnato. Forse non ha compreso fino in fondo quanto sta accadendo, incerto sul da farsi di fronte a una situazione nuova, imprevista, organizzata addirittura in chiesa, al centro della quale è stata posta l’attenzione sulla sua persona, testimonianza vivente di una condizione sociale un tempo assai diffusa su queste montagne. Circondato da amici, montanari e allevatori, provenienti da tutta la valle - alcuni sono saliti sin quassù persino dalla Bassa, da Gorgonzola e dintorni, per partecipare all’atteso evento – ha superato il disagio di sentirsi protagonista della scena, grazie alla consapevolezza di avere sempre fatto il suo dovere nella vita, cosciente della funzione di pubblico mentore, grazie all’autorevolezza conquistata nell’ambito della famiglia e della grande tribù dei bergamini. Si presenta quale saggio e paterno maestro nella stalla e nella casèra, dove il bergamì ha acquisito negli anni il linguaggio delle vacche e degli stracchini, anzi ancora oggi egli comunica quotidianamente con loro, dentro la grande dimensione di umanizzazione e rigenerazione del Creato.
Chissà
cosa pensa, mentre osserva scorrere la sua vita sul grande schermo, anzi forse
non pensa affatto, ma vive dentro le immagini che si susseguono, ritornando al
pascolo sulla Costa del Palio, oppure guidando la mandria alla Bassa, nel corso
delle antiche transumanze, col carrettino al seguito e tutta la sua famiglia.
Scelte coraggiose e silenziose, mai ostentate, nate e vissute assieme con
Carmela, moglie paziente e di profonda fede, dentro il grande sogno della loro
vita. Carlì è stato abituato a dare,
più che a ricevere, sin da bambino, cresciuto alla scuola bergamina del nonno,
praticando con generosità il lavoro e guardando sempre avanti. Ha imparato
presto a rialzarsi, dopo ogni caduta, ad accettare la bacchettata della maestra
sulle mani, quando si presentava in classe con il libro sciupato il giorno
prima al pascolo con le vacche, e a sottomettersi al nonno, il quale non
mancava di infierire il colpetto di baslèta
sulle dita del giovane allievo, quando non curava bene la lavorazione dei primi
stracchini. La sua collocazione nel mondo è stata determinata dalla decisione
dell’anziano capostipite, il “colonnello” a capo del gruppo parentale esteso,
che lo voleva accanto a sé nel governo delle vacche e durante la produzione
degli stracchini, conferendogli una determinata inclinazione. Come si fa, in
natura, con il giovane piantèl, da
guidare nella crescita e sorreggere di fronte all’imperversare dei venti. Nel
filmato Carlì dichiara che avrebbe
voluto fare qualcosa d’altro nella vita, non sappiamo cosa, ma la famiglia bergamina
lo ha indirizzato alla pratica dell’antico mestiere e, a soli sei anni, ha
incominciato a mungere le vacche nella stalla e al pascolo. Una professione svolta
con lucidità e passione, coraggio e altruismo. Giuseppe, suo fratello, pochi
giorni fa mi ha confidato che lui, il Carlì,
è stato “il più buono di tutti” loro. Chi lo conosce da tempo lo sa, mentre quanti
lo avvicinano la prima volta, nell’antica casa di Fiorinello, sono subito catturati
dalla sua generosità e dagli ampi orizzonti. La sua vita è stata un continuo
mettersi a disposizione: della “famiglia delle vacche” nella stalla, dei suoi
figli, di nonni e genitori, nei confronti dei quali ha sempre manifestato
rispetto e riconoscenza, e di tutti coloro che vanno a fargli visita. Si è
messo a disposizione pure dei suoi stracchini – quanti ne sono nati dalle sue
mani febbrili! – orgoglioso di farli assaggiare e donarli agli ospiti. Ed è
persino capace di offendersi, quando qualcuno non osa accettare quel dono
prezioso, che si presenta come una grande sintesi della sua incessante attività
creativa. Carlì ha sempre lavorato in
silenzio, giorno dopo giorno, per una vita intera – 87 anni di età e 62 di
matrimonio -, lontano dai riflettori, costruendo con la sua Carmela un progetto
di famiglia a lunga durata, sempre a disposizione per fare qualcosa a favore di
qualcuno. Ora, con questo film-documento, Luigi Ceccarelli, esercitando nei
suoi confronti una piccola ma necessaria “costrizione”, lo ha come “obbligato”
a porsi dalla parte di chi riceve, un ruolo poco congeniale per il nostro
bergamino, ma che comunque non è bastato a metterlo in imbarazzo, nonostante
non gli sia mai capitato di essere posto al centro di un pubblico convegno.
Penso che, nella chiesa di Fuipiano, Carlì
abbia ricevuto la cosa più bella che un animo nobile come il suo poteva
ricevere, ossia la pubblica e spontanea attestazione di affetto e riconoscenza
dei presenti, confluita in quell’impareggiabile e continuato battito di mani,
che ha sancito la conclusione di una serata carica di emozioni. Ma, ancora una
volta, l’ha avuta vinta lui, perché, anche questa sera, abbiamo ricevuto molto
di più di quanto siamo stati in grado di dargli! Tutte le parole in seguito
sarebbero state vane e di poco conto, persino banali, di fronte alla potenza
dei sentimenti esplosi nella bella chiesa di Fuipiano. Non servono le parole
per suggellare un momento unico, quasi magico, poiché il sogno, per viverlo,
occorre coglierlo e custodirlo nella più bella e sicura cassaforte, quella
della nostra coscienza e della memoria. Così, in silenzio, come siamo giunti al
villaggio rurale, nel cuore della notte facciamo ritorno a casa, scendendo
dalla montagna, mentre tra un tornante e l’altro continuano a scorrere nella
nostra mente le immagini del Carlì e
della vita di un intero popolo, quello dei bergamì,
che nel nostro protagonista ha trovato un eccezionale interprete e testimone.
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