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INCONTRI E PENSIERI ALL’AURORA

Il vitellino di Gabi

In poco più di cinque minuti dalla contrada raggiungo con l’automobile la stalla sul monte, a circa mille metri di altitudine, dove sono “stallati” sei vitelli di razza grigio-alpina e Gabi, la vecchia vacca giunta ormai a fine carriera. Durante l’estate, libera al pascolo, ha allattato forse l’ultimo suo vitellino. I bovini mi attendono lassù due volte al giorno e i vitelli, dai tre ai cinque mesi di vita, ormai svezzati, appena mi sentono arrivare incominciano a muggire e si agitano, golosi della loro razione di “pietanza”, costituita dalla traìs colma di fieno e una miscela di farina de mergòt e panèl. Scalcitano e si spingono a vicenda, per farsi spazio, protesi verso i secchi. Il riflesso della fame, o del semplice appetito, li spinge ad allungare più volte la lingua e poi a ritirarla – sono irrequieti di fronte alla semplice vista del secchio – ricordando probabilmente la fase dell’allattamento.

La stalla dei vitelli


È ancora buio – sono solo le sei del mattino – e l’automobile avanza lungo il percorso, aprendo con i grossi fanali un tunnel di luce nella notte, resa ancora più cupa dal frascame incombente e ancora rigoglioso del bosco circostante. Si presenta dinnanzi, all’improvviso, un giovane e vispo leprotto, le orecchie ritte e un musetto simpatico, che per oltre cinquecento metri mi fa strada, saltellando davanti all’autovettura, con spostamenti repentini a destra e a sinistra, catturato e indirizzato dalla luce artificiale che pare dargli la direzione, da Cà Gavaggio sino ai
Calf; poi, a un certo punto, stanco di essere continuamente spinto a correre, abbandona la strada maestra e si rintana nel bosco. La strada offre sempre qualche sorpresa e i diversi animali del bosco vi si affacciano, come incuriositi, o forse alcuni addirittura spaventati dal nostro passaggio. Scoiattoli, ghiri, porcospini, merli che attraversano a volo radente il manto bituminoso,… mi riportano alla vita del bosco e alle abitudini dei suoi abitanti. Sono io l’intruso. Alcuni giorni fa, sempre alle primi luci dell’alba, sulla linea di “spartiacque” tra il praticello e il bosco, un giovane capriolo pascolava guardingo, muovendo continuamente di qua e di là la sua testolina, guardandosi sempre intorno, attento a cogliere ogni minimo rumore: è bastato poco per interrompere la magia di quel momento e, appena mi ha visto, dopo pochi attimi di esitazione, ha messo in bella mostra tutta la sua eleganza e agilità nella corsa, attraversando in un baleno il prato, scavalcando con un balzo la recinzione e allontanandosi più in fretta possibile. Pareva avesse spiccato il volo. La mia presenza lo ha intimorito, nonostante non avessi alcuna intenzione offensiva. Fa bene a essere così circospetto – ho pensato – soprattutto in questo periodo ottobrino, quando doppiette a canna liscia e altri moderni fucili a canna rigata, ben più potenti, tuonano all’improvviso, rompendo il silenzio del bosco e persino gli uccelli interrompono il canto naturale.

 

La strada nel bosco che sale ai Calf

Non sono il solo a percorrere al buio quel percorso che sale in montagna, anzi diverse altre autovetture e fuoristrada di cacciatori si apprestano a raggiungere i rispettivi capanni, distribuiti sui versanti e lungo la cresta di spartiacque tra la Valle Imagna e le valli Brembilla e Taleggio, per tacà fò i osèi pröma che l’vègne ciàr e attendere così, ben nascosti, le loro prede. Oggi pomeriggio altri saliranno sulla montagna, questa volta per raccogliere le castagne: nugoli di guée, spaventate dal sopraggiungere di insoliti estranei, spiccheranno il volo e si allontaneranno spaventate dalle selve castanili dove avevano trovato ristoro. Anche gli scoiattoli saranno impegnati nella frenetica raccolta di noci, nocciole e castagne per la scorta invernale. Ugo è già sveglio da una buona mezz’ora e, dopo avere acceso un grosso faro sulla valle, probabilmente ha già ultimato di appendere le sue gabbiette contenenti merli e tordi da richiamo sulle poste appese agli alberi attorno al capanno. Ora, rinchiuso nel suo casòt, attende vigile, con il sopraggiungere dell’aurora, anche l’arrivo dei primi volatili: due ore di caccia, prima di raggiungere il posto di lavoro. Tra poco sentiremo rimbombare, da una costa all’altra, i primi colpi di fucile, mire di antiche passioni. Quanto a me, ogni qualvolta raggiungo la stalla dei vitelli, prima di dedicarmi ai vari lavoretti, con lo sguardo rivolto a Sud-est, verso il fondovalle, mi lascio catturare dal bagliore di luci provenienti dalla Bassa, che dal cono rovesciato e come incuneato tra il Monte Linzone e il Monte Castra, mi proietta verso la piana bergamasca e lombarda, anzi nei giorni migliori, quando l’aria si fa rada, si può persino traguardare il profilo degli Appennini. Osservo le luci dei paesi situati sulla cintura a Ovest della città di Bergamo, da Valbrembo sino a Dalmine. Chissà quale effetto, da quassù, il bombardamento di quella cittadina industriale nel lontano mese di luglio 1944. Non ho ancora incontrato nessuno che me l’abbia saputo descrivere.

 

La stalla

Il vistoso spaccato a cuneo apre un varco nella montagna, favorendo l’incontro tra il buio della notte alle mie spalle e le mille attrazioni luminose della città che osservo a distanza. Spiccano i forti contrasti tra il buio e la luce: il silenzio delle contrade rurali si confronta col frastuono dei centri cittadini, il verde di prati e pascoli e boschi dialoga con il grigio del cemento e dell’asfalto, la vita di montagna appare molto più lontana da quella cittadina, rispetto alle poche decine di chilometri che le distanzia. Il tempo scorre diversamente sotto lo stesso cielo. La geografia dei luoghi offre diversi punti di contatto, sedimentati nella storia sociale delle popolazioni della montagna orobica. La fascia prealpina delle Orobie è una terra di mezzo, come un cuscinetto, tra la pianura e la montagna, un formidabile punto di incontro tra culture ed esperienze diverse e un tempo anche assai distanti. Quassù sono sedimentate modalità insediative e attività sociali ed economiche frutto di continue contaminazioni. L’appendice della montagna si è incontrata con le punte più avanzate della pianura, che con le sue “lingue” colturali si addentrava nelle prime aree di fondovalle. Nelle valli poste alla periferia urbana si sono combinati nei secoli elementi eterogenei di diversa provenienza, che in molti casi possono apparire arbitrari e disposti senza criteri precisi o predefiniti da una solida tradizione. La coltura del baco da seta, diffusa soprattutto alla Bassa, era diventata una pratica comune e condivisa anche dalle famiglie contadine della fascia prealpina, e così si può dire per la coltivazione della vite e del frumento. Il contadino in molti casi assumeva una duplice funzione di piccolo proprietario (sinonimo di uomo libero e autonomo, tipico delle genti di montagna) e di mezzadro (ultimo anello della catena feudale della Bassa), mentre la mescolanza di atteggiamenti diversi ha definito uno stile di vita aperto alle novità e in grado di sostenere confronti e produrre mediazioni anche con realtà distanti. La vicinanza alla pianura ha favorito gli scambi, il proliferare di attività di reciproco interesse e l’emersione di professioni altamente specializzate nel commercio ambulante e alla base della civiltà dei bergamini, quest’ultima nata e cresciuta proprio grazie alla possibilità di instaurare relazioni proficue, stabili e di prossimità con il territorio foraggero della Bassa.

 

I vitellini

I pensieri si infittiscono e mi ronzano continuamente nella testa, come le mosche attorno alle vacche al pascolo il mese di luglio, mentre col ràscc dol rüt ripulisco la lettiera dei quadrupedi, poi col ràscc dol fé provvedo a riempire la traìs di fresco foraggio, o ancora col rastèl ammucchio brassöi de fòia nel foièr e li trasporto nella stalla, dopo aver scaricato con la carèta dol rüt il letame nella méssa poco distante. Ora et labora – prega (pensa) e fai fatica – è l’antica locuzione associata alla Regola benedettina: il pensiero forgia e motiva l’azione, ma, viceversa, anche col lavoro paziente e costante  la mente si rinvigorisce, diventa creativa e definisce nuovi scenari. Durante il continuo andirivieni dalla stalla al fienile e alla concimaia, dalla zona buia dove mi trovo, lo sguardo cade in continuazione verso la pianura e le sue migliaia di luci accorpate a mosaico. Dall’altra parte del versante, invece, sul lato opposto della montagna, sotto la chiesetta di San Piro, basta un piccolo lumicino isolato per dare un segnale di vita a tutto il promontorio: come una lucciola solitaria nella notte, Francesco è intento alla mungitura di vacche e pecore, prima che la luce del giorno lo richiami ai molti altri doveri incombenti. Sono ancora i contadini e i piccoli allevatori, oggi come nei secoli scorsi, l’anima, il cuore pulsante e la vita della montagna.

Sono quasi le sette e, tra una riflessione e l’altra, il tempo mi è sfuggito di mano. Devo accelerare: mè spessegà per finì de guarnà a la svélta e rientrare in paese, senza dar tropo fastidio ai cacciatori appostati nei loro capanni. Tra poco più di mezz’ora mi attende il lavoro d’ufficio…


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