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PER OGNI LAMPADA CHE SI SPEGNE, CE N'È UNA CHE SI ACCENDE...

 


Dal villaggio di San Simù, volgendo lo sguardo a levante, osservo attentamente la linea di displuvio che scende dolcemente verso il fondovalle e separa il bacino idrografico dell’Alta Valle Imagna dal suo contermine della Valle Brembilla, al di là della bella chiesetta di San Piro, sulla cima del Monte Poren, con l’annessa torre campanaria, che spiccano in posizione preminente. I miei pensieri si posano sull’ampia radura, pulita e all’apparenza piana, di Recüdì, per lo più erbosa e circondata da boschi di latifoglie dalla folta vegetazione. Da decenni attendono di essere fatti oggetto di taglio colturale, ma mancano le strade e più nessuno, al giorno d’oggi, è disposto a installare palorci o fili a sbalzo. Eroiche generazioni di montanari hanno nel passato solcato quella preziosa area, disboscandola, tracciando nel terreno solchi duraturi per renderla coltivabile e finalizzandola ad accogliere gruppi stanziali di piccoli allevatori e agricoltori con le loro famiglie. L’antico insediamento rurale di pietra viva, simile a una casa-torre con annessi stalla e fienile, è stato costruito sul punto di congiunzione tra il prato soprastante e il pascolo scosceso con sviluppo a mezzogiorno, assai ripido, sino a raggiungere la parete rocciosa di affioramenti schistici, dalla quale gli antichi costruttori hanno estratto le pietre per costruire la bella contrada di Cataiòch, situata ai suoi piedi. Come un faro nella notte, una semplice lampadina posta sopra la porta d’ingresso della casa rurale, accanto alla piccola nicchia nel muro con la statuetta lignea di San Francesco rivolta verso la valle, sempre accesa dal calar della sera sino alle prime luci dell’alba, segnalava la presenza, oltre sessant’anni fa, del nonno Giósep, successivamente della nonna Elia e dello zio Gabriele, tutti allevatori di vacche e custodi di antiche fatiche. Quel piccolo lumicino non poteva passare inosservato e costituiva l’unico grande segnale di vita su quel versante tutto buio. Quando anche l’anziana matrona della casa, attaccata dall’età, non ce l’ha più fatta a salire e vivere lassù, nel podere di famiglia, Gabriele è rimasto solo, ma ha continuato, per molti anni ancora, ad accendere la sera quella piccola lampada di vita. Nell’intenso dialogo con la solitudine, soprattutto durante le lunghe serate autunnali, aveva trasformato il camino e le pareti circostanti dell’unico piccolo locale riscaldato, anneriti dal fumo e dalla caligine, in una grande lavagna, sulla quale aveva inciso, graffiando la parete con uno strumento appuntito, diversi disegni raffiguranti scene agresti di caccia, riproduzioni di animali, ricostruzione di ambienti di vita e di lavoro in montagna. Mi rattrista il fatto di non avere fotografato e documentato quei singolari graffiti, rimasti però ben limpidi e presenti nella memoria. Gabriele ha vissuto molti anni, da solo, a Recüdì, anche dopo la perdita della moglie; col tempo ha acquisito il linguaggio delle sue vacche, con le quali dialogava costantemente, le governava con cura e la stalla costituiva ormai la sua vera casa, sempre pronto, in ogni momento della giornata, a intervenire col ràscc per asportare le boàsse dalla lettiera. Le vacche sono state la sua famiglia. Quella lampada ormai si è spenta per sempre e con essa è venuto definitivamente meno il mondo rurale che affondava le sue radici nella storia medioevale e nel lavoro generoso di solide braccia, sostenuto quotidianamente da generazioni di montanari, abili e ingegnosi modellatori del versante montano a Sud-ovest del Monte Poren. La vecchia casa di un tempo, scrigno di tante memorie, è in fase di ristrutturazione, mentre la stalla, alla quale si accedeva direttamente dall’interno dell’abitazione, versa in condizioni di degrado e lamenta urgenti interventi di consolidamento strutturale.

La contrada Recudino e la sua area di influenza (colore verde) nel Catasto del Lombardo Veneto

La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma è un continuo laboratorio di esperienze in perenne divenire. Per ogni lampada che si spegne, ce n’è una che si accende. La vita continua. Proprio così. A poche decine di metri dal vecchio insediamento rurale, nella sua nuova stalla, Francesco ha acceso un’altra lampada, la sua, frutto dei tempi attuali, con luce più viva e forte rispetto alla precedente fioca e debole, in grado di illuminare anche il fienile, il deposito degli attrezzi, l’ovile con il locale mungitura, il piccolo caseificio con l’annesso punto di vendita e promozione dei prodotti caseari. È sorto un nuovo insediamento complesso e articolato, che funge da organico complesso produttivo zoo-caseario. Passato e presente si confrontano a breve distanza e le due stalle, quella antica di pietra e la moderna parzialmente meccanizzata, invitano l’allevatore, ma anche i molti escursionisti in cerca di noci e castagne, a riflettere sull’evoluzione dei tempi. Si percepisce il bisogno di non trascurare o dimenticare le fatiche e i manufatti del passato. Se poi, ci lasciamo trascinare dalla curiosità della ricerca, affondando ad esempio l’indagine nella cartografia storica, possiamo ampliare ulteriormente il nostro orizzonte, per cogliere frammenti di vita e di lavoro a distanza nel tempo. Dal Catasto del Lombardo Veneto (metà Ottocento), ad esempio, Recudino era vera e propria contrada, costituita da ben sei case coloniche di proprietà del sacerdote Alessandro fu Giovanni Locatelli Tolone, disposte quasi a raggiera difensiva, dove attualmente esiste l’insediamento residuo di casa con stalla. La sua conformazione e l’estensione fanno pensare a un insediamento abitato tutto l’anno. Gran parte di quegli edifici antichi sono stati demoliti tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, dato che mia mamma – classe 1939 – non li ricorda affatto durante la sua infanzia. Nello stesso periodo sono state costruite due nuove stalle con fienile, che nell’antico catasto non comparivano (la stala de önéss a Nord e la stala de la röda a Sud-est), probabilmente in relazione al disboscamento delle selve castanili e al conseguente recupero di prato stabile destinato alla produzione di foraggio. Di norma le case coloniche, comprensive di spazi per la residenza e altri per le attività e le produzioni (locale del camino, camere, ma anche stalla, fienile e depositi vari), erano situate all’interno del fondo da lavorare e, nella maggior parte dei casi, le famiglie che le abitavano non ne erano proprietarie, bensì vincolate da contratti di mezzadria o di affittanza. Il podere di Recü nella prima metà dell’Ottocento era ancora integro e occupava una fetta consistente della montagna, le cui dimensioni consentivano di praticare attività agricole sufficienti per il sostentamento del gruppo parentale. Attualmente tale area si è notevolmente ridimensionata, essendo stata oggetto di vari successivi frazionamenti, con destinazioni diverse e proprietà distinte.

La contrada Recudino e la sua area di influenza (colore rosso) nel Catasto del Lombardo Veneto

Altre informazioni, connesse all’utilizzo del suolo e alle coltivazioni in atto, destano la nostra curiosità, poiché da esse si può ricavare l’economia prevalente dell’area e cogliere le principali attività produttive praticate, ormai duecento anni fa, dagli abitanti della contrada. Il dato emergente è la prevalenza delle selve castanili (circa 43.000 mq.): anche l’attuale grande prato, situato a Nord dell’antico insediamento rurale, un tempo era ricoperto da alberi di castagno. Le aree destinate a prato stabile, con piante di noci, situate in prossimità della contrada, erano davvero esigue (solo circa 6.000 mq.), mentre una parte significativa della proprietà è classificata “coltiva” (su per giù 9.000 mq.), ossia lavorata a vanga e destinata alle colture agrarie. Infine alcune zone boscate, situate a ridosso dei principali affioramenti rocciosi e nelle zone marginali e confinarie del podere, completano il disegno agrario dell’area ricadente nella sfera di influenza di Recudino. All’inizio del XX secolo la produzione delle castagne, che sin dai tempi antichi aveva sostenuto la dieta alimentare e l’economia della famiglia montana, ha subìto un arresto, anche a causa della prevalenza delle colture del mais e della patata, come pure in relazione alla conversione di molti castagneti da frutto, ormai inselvatichiti, in prato stabile, per il potenziamento dell’allevamento bovino. Giovanni Bettinelli dei Ronchècc, la contrada confinante situata oltre il crinale della Sèla, nel territorio del Comune di Berbenno, la cui famiglia, quella dei Caigì, era emigrata definitivamente all’estero, mi ha recentemente confermato che, ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso, il nonno Giósep assegnava a diverse famiglie della zona aree da disboscare, oppure singole piante di castagno da tagliare, a condizione che dal terreno fossero asportati anche i profondi ceppi, quindi riconsegnato a prato stabile e in ordine. Era una pratica abbastanza diffusa pure presso altri proprietari. Il lungo processo di disboscamento era ancora in atto e probabilmente aveva ormai raggiunto la fase terminale.

La contrada Recudino e l'utilizzo del terreno circostante nel Catasto del Lombardo Veneto

La distribuzione colturale risultante dal Catasto del Lombardo-veneto non dichiara certo la prevalenza dell’attività zootecnica, che invece è sopravvenuta in seguito, per l’assenza di prati stabili sufficienti e la conseguente poca quantità di foraggio. Le selve castanili, viceversa, offrivano diverse aree a pascolo, ottime per l’allevamento delle pecore, anche in relazione alla conformazione scoscesa del terreno, che in certi casi rende tuttora proibitivo il transito dei bovini. Ho la sensazione che, nella prima metà dell’Ottocento, la struttura economica delle famiglie che abitavano la contrada Recudino fosse caratterizzata, oltre che da un robusto impianto colturale di castagne e noci, rafforzato dalla coltivazione di sorgoturco, patate e fagioli (pochi ortaggi), anche dalla presenza di un modesto allevamento di pecore, da latte e da carne, integrato da non più di una o due vacche. Sempre Giovanni, amico e conterraneo, mi raccontava che sua nonna, Caterina Todeschini dei Ronchècc, analfabeta ma amante del bel canto, la cui voce squillante e adamantina risuonava nel prato e nel bosco durante l’esecuzione dei vari lavori agresti, si recava abitualmente a Recü dalla mia bisnonna, öna Taìna originaria de Saiàcom, dalla quale riceveva ammassi di lana da filare col füs, che avrebbe poi restituito in matasse di filo, in cambio di qualche formaggio o altri prodotti agricoli. Le famiglie cooperavano, si scambiavano servizi e risorse, e, nel grande prato di Recudino, palcoscenico di tante avventure, confluivano spesso anche i bambini delle contrade Ronchècc e Fenil Vólt: uno dei loro divertimenti preferiti consisteva nel cavalcare ü baröl durante la corsa vorticosa e convulsa dalla rìa, in cima al pratone, sino a raggiungere il modesto pianoro dietro casa. Senza farsi male, ovviamente. C’era, allora, più dimestichezza con gli animali. Appesa a un ramo del grande noce dietro casa, öna spitùnga offriva ai più piccoli l’opportunità di effettuare “voli spensierati”. Per soddisfare l’appetito del consistente ròs di bambini e ragazzi – racconta sempre Giovanni – un giorno la bisnonna a mesdé aveva fatto cuocere addirittura tre polente...

Recudino visto oggi da San Simù (Corna Imagna)

La conversione del podere verso l’allevamento bovino, abbandonando quello ovino e pure la precedente consistente produzione castanicola, si è conclusa nell’arco di tre generazioni, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, quelle del bisnonno Pàol, del nonno Giósep e dello zio Gabriele. L’antica contrada ha cambiato volto, alle vecchie case coloniche si sono aggiunti nuovi fabbricati, ma rimangono i segni di una storia, le cui radici sono rinvenibili nel lavoro e nella vita delle generazioni passate, intrisa di immense fatiche, di sacrifici e speranze oggi impensabili. Quanto al nonno Giósep, ol Scörlòt de Recüdì, si dice che l’è mòrt contét, un giorno d’estate del 1969, mentre la famiglia era impegnata nel taglio del còrt, perché l’à ést reà la nuova strada nella sua contrada avita, che avrebbe segnato l’avvio di un nuovo corso…

L'antico complesso residuo di Recudino (Sant'Omobono Terme)


Commenti

  1. Magnifico! Adesso i luoghi ieri visitati hanno anche per noi una storia. E un futuro, grazie a voi e alle vostre cure. Grazie, Antonio!

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