Il
tempo ristretto dell’esistenza scorre velocemente su un terreno accidentato, disseminato
di pericoli e di insidie che mettono a dura prova l’equilibrio e la capacità di
resistenza di ciascuno. Non è facile tenere fermo il timone e governare il
nostro vivere nel mare in burrasca della società moderna, mantenendo la scala
dei valori umani e universali ai quali siamo stati formati, ma soprattutto
continuare ad avere fiducia nelle persone e a trasmettere vivacità di
sentimenti ed emozioni positive nelle relazioni con il contesto sociale circostante.
Non è semplice conservare sul volto i contorni di quell’immagine e somiglianza
di Dio alla quale si rifà tutta la nostra esistenza. Facile a dirsi. Ma quando
ci si alza la mattina col pensiero all’agenda ricca di impegni, quando un
progetto va male e viene bloccato per la noncuranza e l’invidia delle persone,
oppure quando ancora si sente vacillare il lavoro e venire meno quelle
conquiste, frutto di una vita di impegni, che si ritenevano ormai consolidate,…
quando succede tutto questo non è facile essere di buon umore e mantenere un
atteggiamento positivo diventa davvero complicato.
Le esperienze della vita a volte trattano con eccessiva durezza e severità anche le persone dal carattere più solido, ma nel contempo stimolano la formazione di anticorpi sociali necessari per governare istinti primordiali e portare alla luce valori e comportamenti che affermano la dignità delle persone e nobilitano l’umanità intera. Abbiamo tanti esempi attorno a noi di persone dall’animo nobile, sincero, non rinchiuse in se stesse, anche se molte volte non le sappiamo riconoscere, poiché, sempre più spesso, il pensiero viene catturato dai fenomeni più eclatanti, complessi, o da accadimenti negativi. Ma quando, pur nel mezzo delle miserie quotidiane, ci è dato di cogliere l’umanità nelle persone che ci stanno accanto, in quell’istante avviene qualcosa di straordinario, il grande miracolo della vita, e il nostro operare è come sospinto verso un livello superiore, di pace interiore, dove si acquieta il pensiero e restituiscono uguale ristoro vittorie e sconfitte e le cose vengono investite di nuova luce. All’improvviso non ha più importanza ciò che si è fatto o ciò che si sta facendo, poiché vviene una sorta di decompressione spirituale e morale. Ho avuto la fortuna di crescere accanto a diverse persone capaci di irradiare, con molta naturalezza, positività. È come respirare l’aria fine della montagna il mese di maggio, di buonora, e traguardare dall’alto orizzonti lontani. Alcune di esse mi onorato tuttora della loro amicizia e, come una preziosa linfa vitale, alimentano i miei entusiasmi. Altri sono ormai passati all’Aldilà. Tra questi ultimi, ne voglio qui ricordare uno, per tutti, al secolo Lorenzo Pellegrini, originario di Brembilla, che mi piace pensare stia in questo momento esplorando la grande foresta di sapin rossi sulle montagne del Paradiso. Mi è capitata tra le mani proprio ieri una foto che lo ritrae nella sua casa di Le Brassus, in Svizzera, assieme ad alcuni amici del Centro Studi Valle Imagna, quando lo abbiamo intervistato e amato. I suoi occhi brillano di azzurro smeraldo, come il colore della giubba da lavoro che indossa.
Lorenzo è nato e diventato uomo lassù, nella contrada rurale della Maronsèla, appena sotto il villaggio di Sant’Antonio Abbandonato, acquisendo sin dall’infanzia, nei boschi di latifoglie sulle montagne tra Brembilla e Zogno, quella cultura forestale che l’ha accompagnato per tutta la vita. Cresciuto alla scuola di una numerosa famiglia, delle relazioni di contrada e di paese, proprio sulle grosse difficoltà della vita, spesso in regime di sussistenza, si è formata la sua volontà indomita, mai rinunciataria, che gli ha consentito di emigrare per lavoro sulle montagne dell’Appennino, poi delle Alpi occidentali, infine della Confederazione elvetica, e di vincere gli inciampi del fisico dalla schiena contorta e dalle grosse mani rattrappite e nodose per il costante lavoro con corlàs e sighür, ma anche a causa delle scosse della tronsoneuse. La vita non è stata particolarmente generosa nei suoi confronti e gli ultimi anni li ha trascorsi in solitudine, anche se affiancato da amici sinceri: quando l’abbiamo conosciuto, circa venti anni or sono, la moglie era ricoverata a Losanna in una struttura protetta, il primogenito sepolto sotto una lucida croce di larice nel camposanto presso il lago alpino di Le Sentier (schiacciato da una pianta nel bosco), un altro figlio (già guardia forestale) laico in terra di missione, infine l’unica figlia lontana, sposata a Roma. Suo rifugio, oltre la casa ormai svuotata, era rimasto solo il bosco, la sua vera dimora, e proprio lassù, nelle foreste dell’esteso altopiano della Vallée de Joux, si sentiva a suo agio, si muoveva con disinvoltura, risaliva - come fa lo scoiattolo – sugli svettanti abeti, alti sino a quaranta metri, per sfrondarli dalla cima in giù, aggrappandosi ai rami come gradini di una scala naturale verso il cielo. Quelle piante, così sbiotàde dó (sfrondate) e destinate all’abbattimento, nell’impatto della caduta a terra non avrebbero danneggiato quelle vicine. Tecniche forestali acquisite durante una vita di tanto amato lavoro. Ciononostante Lorenzo ha sempre mantenuto un atteggiamento positivo nei confronti della vita: lo si capiva dallo sguardo, dal suo ampio sorriso stampato sul volto con le guance colorate come sono i pomi nostrani giunti a maturazione. “Eroe del bosco e martire della vita”: così l’abbiamo definito nella breve ricostruzione della sua esistenza, pubblicata nel volume Storie di emigranti (Centro Studi Valle Imagna, 2003) e nel film-documento Una vita altrove (Centro Studi Valle Imagna, 2004), due edizioni che vi consigliamo di consultare. L’allora Ministro per gli Italiani nel Mondo, on. avv. Mirco Tremaglia, gli conferì una medaglia durante una pubblica cerimonia (Brembilla,2004), la comunità di Brembilla lo accolse come un eroe nel suo cineteatro, mentre giornali e canali radiotelevisivi elvetici non mancarono di richiamare l’attenzione sulla sua vita.
Lorenzo
è stato campione di abilità forestali, esempio di generosità, altruismo e
dedizione alla famiglia e al lavoro, rappresentando alle più alte espressioni morali
e materiali l’emigrazione bergamasca in terra elvetica. Un gigante di umanità. Una
persona come poche, di quelle che bisogna andare a cercare col lanternino. Di
fronte alle difficoltà della vita non si è mai perso d’animo, anzi si è sempre
messo in moto tenacemente per cercare soluzioni, mai delegate agli altri, ma
vissute e sperimentate in prima persona; non un lamento, ma tanta energia da
investire per superare gli ostacoli; mai un gesto di ribellione, bensì tanto
lavoro, svolto a testa bassa, con umiltà, pazienza e determinazione, nella foresta
dove ha cercato protezione e trovato accoglienza per se e la sua famiglia. Il
bosco è stata la sua vera casa. Era proprio così per i boscaioli della vecchia
guardia, i quali vivevano e lavoravano organizzati in piccole squadre di tre o
quattro componenti, solitamente formate su base parentale, in condizioni di
semi-isolamento nelle foreste alpine e in continua mobilità da una cópa all’altra. Lorenzo conosceva i
segreti del bosco, aveva acquisito il linguaggio dei sapin, che osservava in silenzio, toccava, abbracciava, per
coglierne caratteristiche e possibili utilizzi; dall’esame di un pezzetto di
radice, ricercata col corlàs alla
base del grosso tronco e spezzata a metà, sapeva cogliere la condizione
generale dell’imponente essere vegetale e il suo stato di salute. Sono stato
più volte con lui nel bosco della Vallée
che l’ha accolto come un figlio. Le sue notevoli e riconosciute abilità sul
campo lo hanno reso un prezioso e autorevole riferimento per le istituzioni
pubbliche incaricate della gestione e programmazione delle risorse forestali
elvetiche e la sua capacità di affrontare con successo anche le situazioni più
difficili e disparate lo ha messo nelle condizioni di esercitare una leadership
naturale nei confronti degli altri boscaioli e amici, emigrati come lui da
vecchia data dalla sempre più lontana terra bergamasca. La loro emigrazione,
infatti, nata come temporanea, si è gradualmente trasformata negli anni in
duratura e permanente. Matteo, Piero, Ernesto, Vittorino,… hanno vissuto e
maturato relazioni proficue e durature con Lorenzo, formando insieme un team affiatato e coeso nella comune
esperienza migratoria, nella condivisione della medesima attività professionale
e della mai dimenticata appartenenza identitaria nazionale. Questi uomini,
forti ma schivi, umili e determinati, specchi fedeli delle loro foreste, hanno
vissuto con gratitudine la loro esistenza, allenati al lavoro e alla fatica sin
da bambini, abituati a cogliere il lato positivo anche nelle cose che andavano
storte, educati alla sopportazione e non alla ribellione. Capaci di accettare
la vita per quello che ha offerto loro, hanno dimostrato di possedere gli
anticorpi allo scoramento e alla depressione. A tutti loro va il nostro
pensiero riconoscente e alla loro memoria mi appello e trovo rifugio nei
momenti di sconforto. Lorenzo è venuto a mancare sette anni fa (2014), all’età
di ottantacinque anni, e il prossimo 7 luglio ricorre già il settennale della
sua dipartita ad altra vita.
Lorenzo
se n’è andato
Ha raggiunto le costellazioni
che brillano nelle galassie
sopra la foresta
della Vallée de Joux.
La sua vita si è ispirata
alle corse dello scoiattolo e del
capriolo
alla musica dei violini e della
scure
alla preghiera del vento e della
neve.
Ha testimoniato la fede nel lavoro
la famiglia, gli amici, le radici.
Straordinario uomo:
curvo verso la terra
riposi nell’infinito
Mirella
Roncelli, 21 luglio 2014
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