Un plauso al Sindaco e all’Amministrazione comunale di Almenno San Bartolomeo per un gesto prezioso: l’assegnazione della benemerenza civica all’architetto Cesare Rota Nodari non è solo una grande attestazione pubblica di merito nei confronti di una persona, ma esprime soprattutto il sentire e il fare dell’intera comunità. Nelle nostre realtà, in molti casi, individuo, famiglia e contrada, o paese, costituiscono spesso ancora un tutt’uno, come avveniva nei secoli scorsi. Di conseguenza i meriti di una persona ricadono sulla famiglia e sul paese. È quanto sta avvenendo in questo momento.
Ho conosciuto Cesare circa trenta anni fa, quando, assieme ad altri amici, abbiamo costituito il Centro Studi Valle Imagna: lo ricordo con piacere tra i soci fondatori, davanti al notaio, per sottoscrivere un comune impegno che negli anni successivi si è manifestato in tante iniziative concrete. La nostra frequentazione, negli anni successivi, mi ha consentito di conoscere le diverse sfaccettature, qualità umane, competenze professionali, abilità artistiche, interessi scientifici di un uomo poliedrico. Cesare ha praticato l’architettura non quale attività separata dalla sua esistenza, bensì come intima espressione di una sua particolare e responsabile collocazione nella realtà, come elaborazione artistica e funzionale di elementi strutturali e compositivi delle costruzioni, per definire e organizzare spazi a servizio dell’uomo e della qualità della vita, nelle sue dimensioni materiale e spirituale.
Una spiccata personalità creativa ha caratterizzato la sua architettura, oggi ben distinguibile, come pure diverse altre opere d’ingegno che attengono ai campi del design (il suo attaccapanni è stato esposto al Louvre in una esposizione di arte applicata) e della scultura, del disegno e della pittura. A tal proposito è stato Presidente dell’Ucai per due mandati. Una spiccata fecondità intellettuale lo ha portato a privilegiare sempre, prima di ogni azione, la ricerca ideativa di significati e soluzioni, tanto nel restauro di un complesso monumentale (es. la contrada medioevale di Cà Berizzi) quanto nella costruzione di una chiesa moderna (come quella della Visitazione); tanto nella sintesi stilizzata di un disegno a mano libera (ricordo la bella collezione inedita di acquarelli di porte e iscrizioni di Ibiza) quanto nella modellazione delle statuette dei suoi tanti presepi natalizi e pasquali, uno dei quali, oggi collocato in via definitiva in una chiesa di Roma, è stato esposto, in rappresentanza dei Presepisti e dei Presepi italiani, nel Museo di Salisburgo. L’attenzione, per certi tratti anche assillante e visionaria, nei confronti dei dettagli degli specifici contesti, vicini e lontani, in cui è stato chiamato ad operare, gli ha consentito di destreggiarsi abilmente pure nell’uso dei diversi materiali, dalla pietra tradizionale al cemento armato, dal legno al ferro, immerso una visione dinamica della realtà, poiché – ci insegna – non sono i materiali a fare l’architettura, bensì i significati, le congruenze, il senso del compiuto, del bello e del vero che il manufatto, anche minuto, è in grado di trasmettere. Diversi premi nazionali e internazionali di architettura hanno dato il giusto riconoscimento a un’incessante e proficua attività. Cesare, non dimentichiamolo, per molti anni è stato membro della Commissione di Arte Sacra della Diocesi di Bergamo, oltre che della Commissione Biblioteche e Conservazione delle Opere d’arte della Provincia di Bergamo.
L’edilizia civile e religiosa, storica e industriale, abitativa e dei servizi ha implementato e costituito il banco di prova di riflessioni circostanziate, mai scontate, e indagini di territorio, che lo hanno visto protagonista di programmi di ricognizione e catalogazione dei beni culturali diffusi (come ha fatto in Valle Seriana Superiore) e del Piano paesaggistico e di coordinamento territoriale della Provincia di Bergamo. L’incalzare dell’attività professionale e artistica lo ha costretto a lasciare l’insegnamento, un’altra sua grande vocazione, e non posso qui non richiamare il lavoro sul campo, condotto con gli allievi dell’Istituto superiore Quarenghi di Bergamo, per lo studio della contrada Arnosto, a Fuipiano, che produsse il primo rilievo del complesso e un’importante mostra. Una delle tante. La salute, poi, non sempre lo ha sostenuto e, da quando l’abbassamento di voce lo ha colpito, sono venuti meno i suoi interventi in pubblico, anche sul piano convegnistico.
Per anni ho frequentato il suo studio e, a seconda delle circostanze, quell’ambiente si trasformava di volta in volta nel laboratorio di architettura, nell’atelier di un artista, nella biblioteca di un insegnante, nel rifugio di un amico. Invece di trasferire il suo studio in città, come avrebbe voluto la figura di un architetto di fama, quale Cesare è diventato, egli lo ha sempre mantenuto ad Almenno, onorando così un forte patto di fedeltà alla famiglia e al paese, pur traguardando orizzonti culturali anche in terre lontane (pensiamo ad esempio alla progettazione del Centro di Spiritualità a Gerusalemme). Oggi la comunità di Almenno riconosce e onora questa precisa scelta di campo. Una scelta sostenuta da due pilastri fondamentali, la famiglia e il paese.
La famiglia, davvero un grande valore! Non mi riferisco solo alla famiglia costruita con Lory, sempre al suo fianco, sino all’ultimo respiro, e i due figli Laura e Nicola, ma a quella estesa, con i suoi fratelli Fernando e Renzo, Piermario e il primogenito Enrico, che io non ho conosciuto, ma la cui fama nei settori della meccanica e dell’estro imprenditoriale mi è nota, anche come riflesso dell’attività dei fratelli. Una famiglia coesa e capace di scelte imprenditoriali non semplici che hanno segnato la storia sociale ed economica della comunità a partire dalla seconda metà del Novecento. Ho sempre percepito, in ogni istante della nostra amicizia, la presenza della famiglia. Cesare e i suoi fratelli hanno rappresentato per me un tutt’uno, nella dimensione certamente voluta dalla mamma Maria Locatelli e dal papà Natale. La grande lezione storica è che solo stando insieme ci si rafforza e diventa possibile superare le difficoltà contingenti. Una grande lezione trasmessaci dalle famiglie della nostra valle che, storicamente - sin dal Medioevo - hanno saputo organizzarsi, distribuendo al loro interno competenze e attribuzioni, per affermarsi e conquistare spazi e opportunità anche nei contesti cittadini.
Il paese, altro grande contenitore di vissuti e di esperienze! L’altra forte appartenenza di Cesare è quella territoriale, con Almenno e la Valle Imagna al centro della sua storia personale. Egli ha partecipato costantemente alla vita della comunità, protagonista di iniziative a fianco di parroci e sindaci, associazioni e imprese. Pensate che ha messo mano, quale progettista del restauro, a tutte le otto chiese ricadenti nel territorio di Almenno San Bartolomeo, oltre a numerose santelle. Poco più che ventenne, ancora studente a Brera, è stato eletto Consigliere comunale di Almenno e ha ricoperto anche la carica di Vice-sindaco, nella cui veste lo osservo nella bella fotografia che lo ritrae nel 1958 alla Cornabusa con Papa Giovanni e gli altri Sindaci della Valle Imagna durante un ricevimento ufficiale. Ha partecipato ai fermenti culturali e sociali di quel periodo, anche sul terreno del volontariato missionario, recandosi ad esempio in Brasile, dove è rimasto diversi mesi e ha progettato persino una scuola con collegio, la cui costruzione era stata finanziata dal governo tedesco, assieme Fra Raimondo, confratello di Fra Pasquale Rota, grande amico di Cesare per tutta la vita. Tanto con Fra Pasquale quanto con Padre Manzi ha sempre mantenuto rapporti concreti e di aiuto fraterno, come quando realizzò un libro di disegni raffiguranti decine di scorci di Almenno, i cui proventi sono stati destinati a sostenere le attività dei due missionari.
Cesare vive “dentro” la storia del suo paese: non occupa semplicemente una porzione di suolo, ma si è immedesimato al punto tale nel suo contesto da dedicare ampi interessi allo studio e alla salvaguardia dei monumenti del Romanico, di cui Almenno va orgoglioso, simboli identitari di un popolo, esempi mirabili di architettura. A Cesare sono ascrivibili i primi tentativi per costituire un’organizzazione per la tutela e la valorizzazione di tali beni, che ha trovato forma nell’Antenna Europea del Romanico e in una serie di interventi di sensibilizzazione (con ricerche e pubblicazioni) e di restauro. Ha firmato oltre cinquanta pubblicazioni, senza considerare i molti contributi e interventi per diverse altre edizioni. Segni tangibili di una profonda dedizione al suo paese, come il grande portale ad arco collocato al centro della Rotonda del Romanico, da lui stesso progettato, che introduce ai valori storici, ambientali e culturali di una valle dagli insediamenti antichi.
Come pure la scelta di allestire la cerimonia nel Museo del Falegname, frutto di un percorso condiviso con il suo amico Tino Sana, ha un duplice significato: da un lato sottolinea il riconoscimento del valore della tradizione e dell’ingegno, che hanno permesso alle generazioni passate di costruirsi un futuro, dall’altro ci ricorda la responsabilità che abbiamo nel continuare a generare progresso per tutti. Tradizione e innovazione vivono nelle cose e nelle persone e in Cesare Rota Nodari hanno trovato una straordinaria sintesi capace di continuare a stupirci. Col piacere di lasciarci ogni volta sorprendere.
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