Passa ai contenuti principali

PARTIRE

 

Breve relazione tenuta presso l’Auditorium Ermanno Olmi della Provincia di Bergamo in occasione della presentazione del volume "PARTIRE – Storia di una famiglia italiana emigrata in Francia" di Yvonne e Alain Fracassetti. Evento organizzato dall'Ente Bergamaschi nel Mondo.

 

Mi è stato chiesto di tracciare alcune linee di riflessione per identificare quel grande fenomeno, da sempre esistito, che passa sotto il titolo di “Emigrazione bergamasca”, peraltro tuttora in divenire. Un compito arduo, poiché allo stato delle conoscenze, non esistono studi di sintesi, sulla geografia sociale ed economica dell’emigrazione di casa nostra. Esistono, però, diversi spunti di ricerca, ricostruzioni di saghe familiari (come quella della famiglia Fracassetti), indagini specifiche riferite a territori circoscritti. Quindi mi limito a considerare questa nuova pubblicazione alla luce dei risultati acquisiti dal Centro Studi Valle Imagna nel corso ormai di molti anni di indagini, ma anche in vista di stimolare la costruzione di un Atlante dell’Emigrazione bergamasca, in grado di raccogliere e interpretare i principali percorsi e caratteri di un fenomeno così importante e soprattutto attuale.

La pratica migratoria per lavoro è stata una modalità di ricerca di progresso sociale ed economico messa in atto dalle famiglie sin dai secoli scorsi. Basta leggere atti e relazioni di Notai, Capitani, Podestà, Vicari di valle, sin dal Medioevo, per prendere atto che sulle nostre montagne le popolazioni non potevano vivere che per soli tre o quattro mesi l’anno, sfruttando le poche risorse agricole e zoo-casearie a disposizione, sempre confidando tra l’altro sulla bontà delle singole annate agrarie. Per il resto, non rimaneva altro che andare altrove per recuperare le risorse mancanti. Le famiglie, organizzate su una solida gerarchia interna e fortemente strutturate, attuavano di volta in volta le soluzioni più convenienti e necessarie, affidando ad alcuni membri il compito di trasferirsi temporaneamente altrove per lavoro. L’emigrazione, dunque, si imponeva da sé e non era certo considerata il dramma con cui viene presentata al giorno d’oggi. Era naturale emigrare, fà sö la alìs, e il sostentamento delle famiglie si fondava anche sulla necessaria mobilità dei suoi componenti maschili. Lo dice bene il papà di Yvonne Fracassetti.

 Sin dal Medioevo, dicevo, molti membri delle famiglie delle nostre valli si trasferivano nei principali centri cittadini, per l’esercizio di mestieri, commerci, arti e professioni, dando vita a vere e proprie corporazioni, oppure caratterizzando diverse espressioni letterarie e artistiche nelle città Bergamo, Verona, Venezia, Milano, Bologna, Genova… diventando “cittadini” di quei centri urbani, pur mantenendo nei villaggi di provenienza il ceppo familiare originario presso il quale trasferire in diversi casi fortune e ricchezze, come fede ad esempio Battista Gnecchi di Corna, il paese in cui vivo, emigrato in Francia, che nel 1931, quindi in tempi recenti, donò fondi per costruire la nuova scuola elementare, a lui dedicata, e costituire doti annuali a favore delle ragazze orfane prossime al matrimonio. Le valli in certi frangenti sono anche in grado di condizionare i governi cittadini e hanno la forza di rivendicare la distinzione dalle città, ottenendo privilegi particolari.

Nel corso dei secoli, la struttura economica dei nostri territori è rimasta pressochè invariata, ancorata ai valori agro-silvo-pastorali e dell’artigianato locale, fatta salva la recente e a volte sproporzionata espansione dei centri abitati. Cambia invece, di volta in volta, la mobilità delle persone, condizionata da molti fattori esterni e circostanze di tempo e di luogo. Nel Novecento, ad esempio, l’emigrazione ha cambiato i suoi caratteri di fondo e da scelta pionieristica è diventato un fatto programmato, frutto di accordi bilaterali tra Stati, diventando quindi un fenomeno di massa e cessando di essere limitato al solo componente maschile del gruppo, per coinvolgere anche le donne e intere famiglie. Ciò ha reso irreversibile il processo ed estese aree rurali sulle Orobie hanno vissuto l’abbandono.

 


Con i caratteri cambiano anche i percorsi, sia il punto di partenza che quello di destinazione.

Per quanto concerne il punto di partenza, come documenta anche la saga della famiglia Fracassetti, l’emigrazione bergamasca, soprattutto nelle sue dimensioni di massa, si è configurata “a grappolo” o “a sciame”, ossia non si innesca su una soluzione individuale, ma rimane sempre connessa alla famiglia, il grande motore dello sviluppo. Non si emigra da soli e i gruppi sono formati su base familiare innanzitutto, o di contrada, poi anche di paese o di valle. L’emigrazione è un fatto organizzato, costruito, pianificato, non lasciato certamente al caso. Si creano catene migratorie anche in relazione alle diverse attività professionali, per minatori o boscaioli, contadini o muratori, operai, che soprattutto nel passato hanno caratterizzato il lavoro e l’economia delle diverse aree della nostre provincia. C’è la ricerca di nuove opportunità e l’emigrazione costituisce l’occasione per ricercare altrove collocazioni professionali migliori o più qualificate: Guido Fracassetti, emigrato in Francia nei primi ani Venti, da contadino è diventato costruttore di mattoni, infine muratore, poi titolare di una impresa edile. La scelta migratoria diventa elemento doloroso ma necessario per il progresso della famiglia e il miglioramento delle condizioni di vita.

Anche il punto di arrivo, quale approdo della scelta migratoria, varia in relazione alle diverse opportunità di tempo e di luogo.

Durante gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi lustri del Novecento, l’emigrazione bergamasca è orientata Oltreoceano, soprattutto nei Paesi dell’America latina, dove si sposa con i processi di colonizzazione delle terre e di rinnovamento della società; è un’emigrazione di famiglie di contadini e boscaioli che bene riflette l’idea del Sogno americano. Queste famiglie sono state chiamate a fondare nuove comunità locali nei Paesi di destinazione.

Dopo la Grande Guerra, vennero introdotti alcuni freni ai flussi migratori. Gli Stati Uniti nel 1921 li contingentarono e la politica nazionalista e autarchica dell’Italia tra le due guerre introdusse forti limitazioni. In quel periodo si svilupparono correnti di emigrazione interna, dalle valli prealpine agli Appennini e lungo le Alpi Occidentali, soprattutto in Francia.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale prese il sopravvento l’emigrazione in Svizzera e in Belgio: la Confederazione d’Oltralpe attraeva sia per il cambio favorevole che per la relativa vicinanza alla frontiera, essendo nel frattempo migliorate le comunicazioni, mentre quella per il Belgio era sostenuta da precise politiche nazionali di incentivazione dell’emigrazione di minatori e operai da inserire in quell’industria metallurgica pesante in espansione.

A differenza dell’emigrazione di fine Ottocento, quella del secolo scorso è fortemente agganciata ai più recenti fenomeni connessi all’industrializzazione, all’urbanizzazione e ai servizi. E’ una emigrazione che si inserisce in società preesistenti.

 


Per quanto concerne, invece, i principali caratteri che hanno contrassegnato la scelta e la vita di migliaia di emigranti bergamaschi, possiamo trarre le seguenti conclusioni:

-       non nasce quale atto di ribellione

-       non nasce come scelta definitiva

-       non nasce dal non volere o dal non sapere fare

-       non nasce dallo spaesamento

Nasce, invece, sia dalla ricerca di lavoro, che dall’esigenza di sperimentare nuove soluzioni per il progresso delle famiglie. C’è, in fondo, anche un’idea imprenditoriale, che cerca nuovi spazi per dare espressione e completezza ad abilità e capacità professionali

Nasce sempre da un progetto di vita. Non è mai un fatto casuale. Saldare un debito, acquistare un pezzo di terra, ampliare la casa, costruire la nuova stalla, sposarsi, potevano essere gli elementi scatenanti della scelta migratoria, che avrebbe poi trovato collocazione all’interno dei flussi e delle catene allora disponibili. 

Guido Fracassetti aveva il suo progetto di vita e lo ha perseguito.

Ricostruire le radici della propria famiglia è un’esperienza profonda che sembra contrapporsi proprio a quel “non detto” dei genitori che hanno fatto di tutto per non far sentire il disagio ai propri figli nel Paese di adozione, relegando alla propria sfera più intima e personale il bagaglio di emozioni e di sofferenza legate al distacco con la terra d’origine.

Così ha preso il via il percorso di ricerca - come un’immaginaria emigrazione di ritorno - tra registri parrocchiali, fotografie ingiallite, vecchie lettere ritrovate nella scatola di latta dello zucchero, che ha dato vita a questo nuovo libro, che va certamente ad arricchire quel patrimonio di esperienze e di conoscenze destinato un giorno a confluire in un Atlante dell’emigrazione bergamasca, di ieri e di oggi, in Europa e nel mondo.

Commenti

Post popolari in questo blog

PIZZAIOLO, COLLEZIONISTA E INSTANCABILE ANIMATORE DELLE VICENDE DELLA SUA VALLE

Stefano Frosio Stefano non è solo un bravo pizzaiolo, comproprietario, assieme ai suoi fratelli, di uno spazioso esercizio pubblico situato proprio nel centro della Felìsa , dove con una certa regolarità metto le gambe sotto il tavolo per gustare una prelibata pizza accompagnata da speck e stracchino (quello nostrano, prodotto dai nostri allevatori di monte), alternata all’immancabile Fumata Bianca, farcita con diversi ingredienti. Una vera esplosione di sapori alpini e mediterranei. I meno giovani sanno che questa pizza è stata voluta alla memoria di Dante, suo papà, per non dimenticare quando, la mattina del 28 ottobre 1958, dalla stufetta istallata in prossimità dell’abitazione del noto fotografo della Valle Imagna, ma in luogo accessibile e visibile da tutti, fuoriuscì il fumo bianco: da quel momento ol Capelù - così la popolazione della valle lo aveva soprannominato, in relazione al suo vistoso cappello nero a larghe tese – ha iniziato ad annunciare a gran voce l’imminente elezio...

ADDIO LUGANO BELLA...

Fuipiano Valle Imagna, contrada Arnosto, anni '60. Centro Studi Valle Imagna, Archivi della Memoria e delle Identità. Fotografia di Rinaldo Della Vite In questo periodo, spesso senza accorgermene, mi ritrovo a canticchiare o a fischiettare la nota canzone anarchica Addio Lugano bella...   Ogni riferimento ideologico rischia di essere oggi fuorviante. Restano, però, i comportamenti, che si ripetono nella storia, e le tensioni imperscrutabili dell’animo.  Un pensiero costante, come un tarlo, mi ronza per la testa: l'inspiegabile atteggiamento di chiusura della nuova Amministrazione di Fuipiano nei confronti del Centro Studi Valle Imagna. Un affronto dietro l'altro. Dapprima la bocciatura del programma Berghemhaus , poi il “sequestro” dei nostri libri depositati da anni in alcuni locali non utilizzati messi a disposizione dal Comune. E non è finita qui. Ora partono gli attacchi personali.  Ritorna, a bassa voce, il motivo musicale: … Cacciati al par dei malfattori .......

FENOMENOLOGIA DEL RASTRELLO

Le mie mani si fanno rastrello accarezzano la terra restituendole riconoscenza e cura come a una madre ormai malata… (Mirella Roncelli)   Nonostante la meccanizzazione agricola negli ultimi decenni sia entrata massicciamente nei processi lavorativi connessi alla gestione del prato e del pascolo, del campo e della stalla, anche nelle diverse produzioni zoo-casearie della montagna orobica, alcuni utensili tradizionali non sono mai stati abbandonati del tutto, anzi molti di essi continuano a convivere accanto ai moderni macchinari e ad essere comunemente utilizzati. In questo periodo, in modo particolare, mentre tutta la Valle Imagna vive la sua apoteosi con la fienagione, capita spesso di vedere nel prato contadini affaccendati con il rastrello impugnato tra le mani, come tanti cavalieri armati di lancia, utilizzato insieme al ranghinatore; nei medesimi prati vengono adoperate con energia antiche forche accanto a moderne rotoimballatrici, piccole moto-agricole e grossi trattori c...