Sin dai primi anni Novanta del secolo scorso il Centro Studi Valle Imagna ha iniziato a raccogliere e studiare le fonti orali della tradizione locale, redigendo protocolli di ricerca e acquisendo testimonianze di vita vissuta, mediante lo strumento dell’intervista, dando forma alla collana di video e fono-documenti “I rastrelli”, per conservare e trasferire a futura memoria le esperienze di boscaioli e bergamini, soldati ed emigranti, sacerdoti e artigiani, massaie e filatrici,… espressioni sincere di un mondo ormai decisamente lasciato alle spalle. Abbiamo raccolto, in questi trent’anni di attività, circa un migliaio di registrazioni digitali, che oggi costituiscono l’Archivio della Memoria e delle Identità del popolo bergamasco, per documentare non solo i principali fenomeni del Novecento (guerre, emigrazione, abbandono della montagna, passaggio definitivo dall’antico mondo tardo-medioevale alla società moderna,…), ma soprattutto per ritrovare il bandolo della matassa della nostra storia sociale ed economica e ricostruire così il percorso di sviluppo delle popolazioni rurali negli ultimi secoli. Sono state intervistate centinaia di persone e dal colloquio privato con ciascuna di esse – tra le quali compare anche Eurosia Frosio - abbiamo potuto identificare, oltre ai diversi profili biografici, soprattutto i valori e i contenuti di fondo che ne hanno permeato l’esistenza e definito un modello di comunità valligiana. Terra e proprietà, lavoro e autonomia, famiglia e territorio, libertà e pacifica convivenza hanno segnato la vita di generazioni di valligiani. Ciascuno di questi temi, come tanti tasselli di un disegno compiuto e assai articolato, meriterebbe una riflessione approfondita. Facendo tesoro dell’esperienza di vita di Eurosia Frosio, simile a quella di molti altri “sconosciuti” valligiani - poiché il più delle volte gli atti di eroismo quotidiano stanno lontano dai riflettori - consideriamo il tema della libertà e pacifica convivenza. L’argomento ci è stato suggerito dalla meritoria intuizione del duo New Phoenix Ensamble di eseguire alcuni brani musicali composti da autori tragicamente uccisi durante la Shoa. Letizia al clarinetto e Sylvia al violoncello ci introducono nel dramma umano di questi compositori dimenticati.
Nata nel 1914, Eurosia Frosio ha trascorso la sua infanzia dapprima all’Albergo Pertüs, ai piedi del Monte Ocone, gestito dal papà, combattente e reduce della Grande Guerra, quindi la gioventù e l’età adulta presso l’Albergo Moderno di Mazzoleni. L’abbiamo intervistata il 14 marzo 2001 nella sua abitazione privata di Pà dol Gris: la narrazione si è rivelata subito partecipata e commovente, soprattutto durante la rievocazione dei fatti di guerra, ancora assai vivi e dolorosi: Eurosia si commuove ricordando il pianto del papà al suono, a campana martèl, delle campane di Sant’Imbù che annunciavano la dichiarazione di guerra nel 1940, così come quando rivive il dramma umano di alcune famiglie di ebrei costrette a nascondersi, aiutate e protette dalla popolazione:
Un giorno il parroco durante la predica
ci avvertì che stavano per arrivare i tedeschi e che era il momento di aiutare
gli ebrei a fuggire. E di notte abbiamo persino mandato a chiamare il medico di
Locatello per visitare un signore ebreo che sarebbe dovuto partire, ma che non
si sentiva bene. Alla fine l'uomo decise di fuggire lo stesso, anche se quasi non
riusciva a reggersi in piedi.
Un'altra volta era sera e l'albergo era chiuso, io penso fosse la primavera del 1944. Sentimmo bussare, aprimmo. C'era il Sami e con lui altre sette, otto persone, erano tutti ebrei. Ricordo che avevano le scarpe ai piedi e un altro paio in mano e mio papà li fece entrare e gli chiese che cosa facevano con le scarpe in mano. Il Sami ha risposto che servivano delle scarpe di riserva perché sarebbero fuggiti su per la montagna e per i boschi. Poi ricordo che mio padre riattizzò il camino per fare bollire l'acqua per preparare una camomilla, qualcosa per loro, ma loro gli dissero di spegnere subito perché altrimenti le SS avrebbero visto il fumo del camino e si potevano insospettire.
In albergo avevamo una famiglia di quattro persone, i Radan: mamma,
papà e due figli. Erano ebrei, ricchi, molto ricchi. Ogni domenica si
presentavano alla caserma dei carabinieri per firmare il registro di presenza,
fino a quando, un giorno, la situazione all'improvviso precipitò e furono
costretti a fuggire. Scapparono di notte senza portare con sé nulla, ad
eccezione di una borsa con oro e soldi. Riuscirono a varcare il confine con la
Svizzera. Fui certa che si erano salvati quando, dopo la guerra, tornarono a
riprendersi la loro roba. I bauli erano rimasti custoditi nel sottotetto
dell'albergo, nascosti sotto a cataste di legna. Glieli restituii e loro, per
riconoscenza, mi donarono un gioiello.
Eurosia rivive quei momenti con commozione. Non ci sono dati certi per quantificare il numero di ebrei che in Valle Imagna trovarono rifugio durante la persecuzione razziale, ma dalla popolazione meno giovane, che fu protagonista di quel difficile momento storico, unanime è la conferma (e la condanna) di un fenomeno persecutorio allora generalizzato: molti furono i valligiani che, dal 1938 sino al 1945, offrirono loro accoglienza e ospitalità, salvandoli quindi dalla cattura e dai campi di sterminio. Questo capitolo della nostra storia non è stato ancora sufficientemente studiato dai ricercatori, anche se rientra a pieno titolo nel movimento di resistenza al nazifascismo. Non va dimenticato che fornire l’alloggio agli ebrei, favorire la loro clandestinità, sostenerne la fuga,… significava violare le leggi, con serio pericolo per l’incolumità fisica dei trasgressori. Il racconto di Eurosia Frosio ricostruisce alcuni fatti che videro protagonisti uomini e donne di Sant’Omobono, ma con aiuti anche altrove, nell’intento comune di fornire protezione alle persone perseguitate dal regime. In quel triste periodo gli Ebrei sono stati privati di tutto, anche della cittadinanza, esposti a ogni tipo di vessazione. Continua la testimonianza di Eurosia:
Dietro l'Albergo Moderno avevamo un modesto appartamentino, dove tenevamo nascosta una famiglia israelita, cioè marito e moglie con un figlio. Quest'ultimo, però, rientrava solo la sera, perché durante il giorno stava nascosto nei boschi della valle. Un giorno vedo improvvisamente entrare nell'albergo un repubblichino, assieme con un tedesco, i quali mi dicono, a ragion veduta (probabilmente informati e mandati da qualche spia):
- Qui sono nascosti alcuni ebrei!...
Cercando di reagire, affrontando la
situazione con dignità, ma con tanta paura dentro, ho risposto:
- Sì. Ci sono. Ci sono.
Cose ülìf
che ga desèss? Mentre però chiacchieravano, ho detto a mia sorella, che si
trovava poco distante:
- Servi qualche cosa ai signori. Un
aperitivo o quello che desiderano!
Intanto io mi sono assentata il tempo
necessario per raggiungere 1'appartamento sul retro e fare capire a quelle
persone (perchè i capìa negot) di rimanere in silenzio chiuse nella loro
stanza:
- Chiudere! Carabinieri! Silenzio!... -
avevo raccomandato loro.
Quindi sono ritornata immediatamente al
banco del bar. I due militari stavano ancora consumando la loro ordinazione,
quando gli ho detto:
- Se volete vedere dove abitano, vi
accompagno.
E
n'sè 'ndàcc
sö
de dré: i à essé pecàt a la pòrta, ma quèi à mia divrìt, èh! Così ho colto il momento
propizio per dire loro:
- Guardate che, a quest' ora,
solitamente essi vanno a Selino a fare la spesa.
Poi siamo scesi sul terrazzo del Moderno
e, vedendo passare poco distante due persone abbastanza anziane, probabilmente
due coniugi che stavano rientrando da Selino, ho chiesto loro:
- Signori! Non avete forse incontrato
un uomo e una donna per la strada? . . .
- Sì, eh ... - ha risposto la signora -
li abbiamo incontrati proprio lì, sotto il Mulì Campagna!...
Finalmente quei militari se ne sono andati, promettendo però
che sarebbero ritornati. Quella famiglia di ebrei, invece, l’éra sö
en cà, seràda ciüsa
dal de dét, èh!
Per fortuna essi avevano compreso e
attuato il consiglio, suggerito poco prima, cioè di rimanere rinchiusi in silenzio
nella stanza.
Quella famiglia
è stata poi trasferita a Laxolo e Eurosia li ha persi di vista. Conclude il
racconto Eurosia:
- Enrico, il figlio, l'ho rivisto solo
dopo la guerra, quando è venuto a trovarmi per ringraziarmi. Lùr ìa de Tel
Aviv, ma non mi ricordo come si chiamavano: so solo che il padre era un rabbino.
Sentimenti di libertà e di pietà cristiana hanno caratterizzato il comportamento dei valligiani nei confronti di quanti hanno cercato riparo e protezione nelle contrada sparse sui versanti delle nostre montagne, nascosti nelle stalle solo apparentemente isolate nelle piccole radure circondate dal bosco, nei piccoli casolari sparsi un po’ ovunque. La montagna e le sue popolazioni hanno sempre offerto ospitalità a quanti, anche nel passato meno recente, hanno cercato protezione. Sin dal Medioevo, afferma l’amico Annibale Salsa, noto studioso delle popolazioni alpine, i contadini delle Alpi, avevano meritato la condizione di uomini liberi, diversamente da quelli della pianura, anzi molti di questi ultimi hanno subito le imposizioni del sistema feudale sino a tutta la prima metà del Novecento, a causa della concentrazione della proprietà terriera in poche mani e della condizione diffusa di servi della gleba. La montagna, viceversa, ha formato uomini liberi, che ben presto sono riusciti ad affrancarsi alla piccola proprietà contadina, ottenendo dai feudatari il riconoscimento della loro funzione sociale: vescovi, principi, monasteri, autorità civili e religiose avevano accettato di ridurre la loro sovranità sui contadini delle terre alte, in ragione anche dello scarso interesse dal punto di vista delle produzioni agrarie, in cambio del presidio e del controllo del territorio, soprattutto nelle zone confinarie. Ciò ha contribuito a formare un forte senso di radicamento delle famiglie ai rispettivi territori, alla base della coscienza sociale dell’appartenenza, dell’autonomia e dell’identità. Le montagne hanno incominciato a vivere quando l’uomo si è preso cura di loro, ottenendo e offrendo ospitalità, in forza di un’alleanza che dura da molti secoli. La Repubblica di Venezia, durante l’esercizio del suo dominio durato circa quattro secoli, riconobbe alle valli una serie di privilegi e di concessioni, nell’ambito dell’affermazione dell’autonomia amministrativa, separata da quella della città, ottenendo la fedeltà dei valligiani. Le nostre montagne, soprattutto quelle prealpine, a ridosso delle principali città del Nord Italia e, per quanto ci riguarda, della piana lombarda, hanno nei secoli scorsi offerto riparo e protezione a forme spontanee e organizzate di resistenza. Nei primi lustri dell’Ottocento gruppi armati di renitenti alla leva obbligatoria imposta da Napoleone esercitavano forme attive di controllo su molti villaggi montani, anzi il cursore comunale di Corna venne addirittura destituito dalla sua carica dalla Prefettura del Serio, perché accusato di connivenza con i disertori. Altri gruppi reclamavano dalle Municipalità aiuti alimentari di fronte alle gravi carestie che avevano imperversato in quel periodo. Gli abitanti della montagna hanno respirato nei secoli aneliti di libertà contro gli autoritarismi.
La resistenza al nazi-fascismo si è organizzata e strutturata principalmente in montagna, i fuggiaschi dal campo della Grumellina, dopo l’8 settembre 1943, hanno preso la strada dei monti, alcuni diretti in Valtellina e in Svizzera, altri in cerca di sicuri nascondigli sulle nostre montagne. Illuminante, a tal proposito, è la lettura del Cronicon della parrocchia di Morterone, dove il parroco, Don Piero Arrigoni, annota la fiumana di ex prigionieri, sbandati e fuggiaschi di passaggio sulle praterie montane, in cerca di un rifugio. Un’importante fotografia ritrae un gruppo di essi, nel 1945, al termine del conflitto, davanti al Santuario della Cornabusa, dove si erano radunati per offrire alla Madonna addolorata un ex voto per lo scampato pericolo e l’aiuto ottenuto dalla popolazione della valle (fotografia sotto riportata).
Le
Alpi, sin dai tempi antichi, hanno rappresentato uno spazio aperto, una
opportunità di riscatto e di affermazione della storia per milioni di individui
e di famiglie rurali, una straordinaria culla di valori e di esperienze di
libertà, autonomia, piccola proprietà: quassù le persone sono state educate ad
affrontare anche le situazioni più difficili, a non arrendersi di fronte alle
difficoltà, a non delegare agli altri le proprie responsabilità, a resistere
contro vessazioni e autoritarismi, per lo più in silenzio, mettendo in atto
straordinari gesti di eroismo quotidiano, con generosità. Il comportamento di
Eurosia Frosio non è stato un gesto isolato, ma affine alla cultura della
montagna, della quale la nostra esercente è stata un fulgido esempio. Basta
affondare la ricerca nella memoria popolare per rendersi conto di quante forme
“silenziose” di resistenza la popolazione delle nostre valli abbia messo in
campo durante l’ultimo conflitto mondiale e nei lustri precedenti, per non
disperdere e continuare a trasmettere il patrimonio di umanità e convivenza
civile ormai presente nel Dna sociale e culturale delle genti di montagna.
Ricordare,
nella bella cornice di Cà Berizzi, Eurosia Frosio, significa fare memoria di un
periodo cruciale della nostra storia sociale e riportare alla luce un’infinità
di gesti di eroismo quotidiano. Significa tornare a respirare arie di libertà e
di umanesimo, anche attraverso le melodie composte e sofferte che il duo New Phoenix Ensemble ci propone come chiavi d’accesso ai
misteri e ai valori della vita. La montagna rimane ancora un contesto
privilegiato, ora come allora, dove le persone possono ritagliarsi un proprio
spazio e costruire nuovi scenari sociali d economici, in sintonia con l’ambiente
e i valori di umanità e di progresso sedimentati nella storia. E la musica è un linguaggio davvero unico, universale, che permette di esprimere e comunicare stati d'animo ed emozioni, dà speranza e consente di resistere in ogni situazione, portandoci al di là della realtà contingente.
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