Passa ai contenuti principali

PASSAGGIO A NORD-OVEST, IN TERRA BERGAMINA

 


Non è passata inosservata la notizia che il Consiglio regionale della Lombardia abbia finanziato la manutenzione straordinaria della strada di collegamento Brumano-Morterone-Moggio-Vedeseta, rendendo quindi transitabile il collegamento rurale di circa sette chilometri (strade bianche) esistente tra la Valle Imagna, la Valsassina e la Valle Taleggio. E, come al solito, le polemiche incalzano e i partiti presi rendono difficile un dialogo pacato e spesso mascherano interessi di altra natura. Ho ricevuto la notizia mentre, proprio a Fuipiano, ero intento, con altri cari amici, al trasferimento del magazzino librario del Centro Studi Valle Imagna, ed ho esultato. Finalmente – mi sono detto – un segnale concreto e forte di attenzione a questi territori. Era stata, quella, una reazione a caldo, che confermo in queste riflessioni a distanza di giorni.

 

Nei secoli scorsi i valligiani hanno sviluppato particolari abilità e attitudini a spostarsi a piedi, percorrendo anche distanze considerevoli per raggiungere e superare, con il solo cavallo di San Francesco, le frontiere nazionali a Nord-ovest in cerca di lavoro. Essi si sono sempre confrontati con la necessità di dotarsi di opere strategiche sul piano della mobilità, perseguibile mediante la costruzione di infrastrutture e reti viarie. Da Fuipiano e Brumano, ancora nel primo Novecento, gruppi di oaröle, massaie coraggiose e predisposte al sacrificio pur di alimentare la scarna economia domestica di sussistenza, oltrepassavano il Resegone per raggiungere Lecco con la gabbia sulle spalle i loro caagnì colmi di uova destinate alla vendita. Istanze e petizioni accorate dei Sindaci dei villaggi più distanti dalla nuova arteria stradale che nella seconda metà dell’Ottocento incominciava a svilupparsi in linea con il corso del torrente Imagna di fondovalle, mettono in evidenza la condizione di “segregazione” in cui  versavano diverse comunità locali; così pure facevano le felatoére quando andavano a lavorare nelle filande e nei filatoi lariani.

… La popolazione nella valle inferiore è piuttosto numerosa, ma è scarsa nella parte superiore. Mancando questa Valle di una strada per ruotanti, non essendo nella parte alta che praticabile alle bestie da soma, rende quella parte quasi segregata dalle ordinarie comunicazioni e i trasporti assai costosi… (Archivio di Stato BG, 1810, c. 1139)

 

La Valle Imagna è stata l’ultima delle valli bergamasche ad essere dotata di strada transitabile con i carri. Sino alla prima metà dell’Ottocento, dunque, la strada carrale terminava ad Almenno: lì i carri provenienti dalla Città o dalla Bassa si fermavano e il carico non poteva che proseguire sul dorso di muli, asini e, in molti casi, anche sulle spalle di donne e uomini coraggiosi, diretti alle varie contrade sparse sui versanti del catino orografico dell’Imagna.

… Anche per la valle Imagna, che sola in tutta la Bergamasca era priva di comunicazione diretta con la città, nel 1824 fu deliberata una strada col titolo di regia, e insieme fu decisa la costruzione di un ponte sul Brembo in località più comoda. Quest’opera, che doveva costare oltre centomila lire, e doveva essere cominciata nel 1826, richiese però un lungo lavoro, sicchè solo il 31 agosto 1831 il nuovo ponte di Almenno potè essere visitato dai vice reali venuti dalla villa di Monza… (Bortolo Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi…)

 

L’assenza di una strada carrale ha condizionato lo sviluppo economico delle comunità locali, favorendo tutte quelle attività connesse alla trasformazione in loco delle risorse primarie e l’utilizzo di materiali prettamente reperibili in sito (legno e pietra) per l’edificazione degli insediamenti e la dotazione di utensili e manufatti.

… In pratica le legne dei boschi in questa Comune si usa ridurle in Carbone per la loro distanza dalla Strada Maestra di Valle, e vendere il carbone stesso in luogo, il quale si trasferisce dagli acquirenti in Bergamo con bestie da soma fino a metà strada, e quindi con birocci. Tra Bergamo e questa Comune evvi la distanza nientemeno di 16 miglia… (Gio. Domenico Locatelli, Pubblico Perito Agrimensore, Minuta di Stima dei Beni Stabili della Comune di Corna, manoscritto, 1840, archivio privato della famiglia Locatelli).

 

Sino a tutta la prima metà del diciannovesimo secolo, la mobilità della valle si orientava verso i passi di monte e i crinali di spartiacque lungo la corona del Resegone, quando la montagna era ancora popolata e considerata il luogo privilegiato dove vivere e prendersi cura della propria famiglia, costruendo una relazione diretta con i lavori nel campo, nel bosco, nella stalla, nel prato,… sfruttando abilità e opportunità artigianali, agricole e zoo-casearie. I rilievi che circondano il catino della valle si sviluppano intorno ai 1300 metri di altitudine e, soprattutto nel passato, costituivano il trait d’union della medesima dimensione culturale e socio-economica che si sviluppava al di qua e al di là della montagna. La valle non disponeva di strade caràde (cioè transitabili con i carri), ma solo di strade caalìre (percorribili con muli e asini), larghe anche sino a due metri, affinché due quadrupedi potessero incrociarsi nei due sensi di marcia. Le strade caalìre erano quasi sempre ressolade con pietre di piccole dimensioni, recuperate sul posto, battute su un letto di réna (terreno sdrucciolevole ben livellato in piano)  o di tèra batìda (terra battuta). Queste strade sono solo a uso pedestre e cavalcatorio, e scorrono in montagna con andamento assecondante le sinuosità del terreno. Le pendenze sono alquanto variate, e molte sono in forte ripidità giungendosi al 30%, superandosi queste con cordonate… (Ing. I. Dolci, Descrizione dello stato attuale delle strade cavalcatorie nel Comune di Corna. Manoscritto del 21 febbraio 1866 - Archivio del Comune di Corna Imagna).

 

Le strade caalìre di prima classe (distribuite soprattutto sui collegamenti principali tra i villaggi e verso l’esterno), di seconda classe (di collegamento delle varie contrade) e di terza classe (altri percorsi principali), si distinguevano dai sentieri interpoderali di collegamento con le Cà isolate e i diversi löch anche lontani dalle contrade. La fitta rete viaria documenta il livello di occupazione e di antropizzazione del territorio. Sarebbe interessante continuare questa riflessione mettendo in evidenza i vari elementi compositivi delle antiche caalìre (renèle e basèi, cönète e sapèi, paracàr e mür a sèch,…) e i manufatti presenti su tali percorsi principali (póse e tribülìne, sise e fontanì,…), come pure osservare le diverse modalità messe in atto per superare notevoli dislivelli e oltrepassare vallette e ruscelli (dalle semplici “travi di castagno con barricate da un lato” ai “passi squadrati” (massi ciclopici adagiati sul letto del torrente), per arrivare ai ponticelli in muratura di varie epoche, dal medioevo ad oggi. Ma non è questa la sede per tali approfondimenti.

 

Durante tutta la seconda metà dell’Ottocento, i servizi di trasporti e i collegamenti di fondovalle gravitavano sulla regia strada carrale che da Almenno giungeva sino all’Albergo Centrale di Sant’Omobono, un vero punto di riferimento per tutta l’Alta Valle Imagna, con servizio di posta e vetturali. Era già una conquista, anche se i carrettieri, per superare le due ràte di Almenno e di Ponte Giurino, soprattutto per i carichi più pesanti, dovevano avvalersi della seconda coppia di cavalli o muli. Dall’Albergo Centrale, poi, i carichi, non solo postali, ma costituiti per lo più da sacchi di farina di mais provenienti dalle colture foraggere della Bassa, proseguivano il loro viaggio sul dorso di asini e muli, risalendo le antiche strade caalìre. Presso quella stazione di posta confluivano i vari mulattieri provenienti dai villaggi dell’Alta Valle Imagna, con i loro quadrupedi carichi di legna e di sacchi di carbone, che avrebbero poi trovato collocazione sui carri diretti in città. Ci sono voluti atri cinquant’anni, sino a tutta la prima metà del Novecento, per collegare con comode strade carrali tutti i villaggi sparsi sui versanti dell’Imagna. A San Simù, ad esempio, ol stradù è giunto solo verso la metà degli anni Cinquanta. Ogni progetto di strada ha sempre animato partiti avversi, soprattutto nelle piccole realtà, sia per la scelta del percorso, che a causa della difficoltà a rinunciare al “fazzoletto” di terra occupato dal nuovo sedime viario, per il venir meno del pezzetto di prato o campo, pascolo o bosco. In molti casi si rendeva necessario l’intervento della forza pubblica - i regi carabinieri - per portà vià i più irriducibili, disposti ad affrontare in prima persona l’avanzare della pàchera. Un po’ come fece quel giovane studente nella Piazza Tienanmen - perdonatemi l’irriguardoso confronto - ponendosi davanti al carro armato, per impedirne l’avanzamento. A ciò si aggiungeva l’incredulità di molti, come quell’anziana regiùra che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quando venne realizzata la carrabile per Fuipiano, esclamò: “Se i fà la strada a ‘ndà en Föppià, mé mànge ü àsen con sóta i fèr!...”. Diverse contrade, all’interno dei vari villaggi, hanno dovuto attendere ancora molti anni, prima che fossero raggiunte dalla carrabile e tale processo, tutt’altro che indolore, si è ultimato solamente nei recenti anni Ottanta. Ogni volta si ripetevano sempre le medesime dinamiche, con infinite discussioni, alimentate nelle famiglie estese di un tempo e nelle osterie (i social di oggi), con presa di posizione di partiti contrapposti. Gli insediamenti rurali non raggiunti dalla carrabile hanno subito negli anni un lento processo di degrado e di agonia, abbandonati ormai a loro stessi e in rovina. Dove non c’è strada c’è abbandono. Al giorno d’oggi le strade carrabili sostituiscono le caalìre di un tempo, i percorsi di prima classe, quelli essenziali.

 

Dagli anni Ottanta in poi ha avuto inizio un nuovo processo di espansione viaria, tuttora in corso, per il collegamento dei vari löch, sparsi sui versanti della montagna, alle rispettive contrade di appartenenza, mediante la realizzazione di strade interpoderali e piste forestali. A differenza dei percorsi precedenti, caratterizzati dall’azione delle istituzioni locali, questo processo è stato attivato direttamente dai privati, con l’obiettivo di favorire l’accesso ai fondi di proprietà, consentendo la gestione e la manutenzione delle diverse infrastrutture agrarie di monte. Le famiglie erano in piena espansione e nei villaggi circolava una quantità di denaro mai vista prima, grazie soprattutto alle rimesse degli emigranti stagionali provenienti dai Paesi d’Oltralpe e a seguito di un’attività edilizia in espansione. I boscaioli rientravano dalla Confederazione elvetica nel periodo invernale, dopo nove mesi trascorsi a lavorare nelle foreste d’Oltralpe, e pareva loro impossibile che in Valle Imagna non esistessero strade carrabili nei boschi, quando nel Paese confinante erano abituati a utilizzare comode strade asfaltate per l’accesso alle foreste, anche a quote elevate, dove tagliare sapin e costruire migliaia di stèr.

Il progresso pareva finalmente possibile e a portata di mano. Le caalìre, vere e proprie “autostrade” di un tempo ed espressione autentica dell’antica civiltà rurale, che avevano svolto il loro servizio da secoli, sono state sostituite dal moderno stradù, simbolo di progresso, e abbandonate, assieme a diverse aree di monte, coinvolte da un lacerante processo di imboschimento selvaggio e di dissesto ambientale. La strada carrabile è diventata una discriminante per la conservazione o l’abbandono dell’ambiente umano delle nostre valli. Basta guardarsi attorno: le zone rurali servite da una strada carrabile sono ancora oggi manutenute, i prati falciati e i fabbricati rurali ristrutturati, molte volte anche stravolgendo le architetture originarie, per l’assenza di una specifica normativa tesa al restauro. Ormai diversi anni fa, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, quando il Comune di Corna Imagna aveva dato il via a ingenti investimenti in campo agricolo, per la realizzazione di strade interpoderali e la dotazione di impianti diffusi di elettrificazione e acquedotto rurali, un anziano mi disse: “Bèi laùr, ma i ga ülìa trent’àgn pröma!...”. Aveva ragione.

 

Attualmente la moderna rete viaria della valle è pressoché ben definita nel suo insieme, anche se esistono ancora diversi versanti montani di difficile accesso, per l’assenza di percorsi carrabili o la cattiva consistenza e pericolosità degli stessi. All’arteria portante del sistema viabilistico di fondovalle, con sbocco a Sud-est in direzione di Lemine, altre vie di collegamento in quota consentono relazioni costanti dirette a Sud-ovest con la Valle San Martino, attraverso il Passo di Valcava (valico prealpino posto a oltre 1300 metri di altitudine), e a Est, in direzione della Valle Brembilla, superando la Forcella di Berbenno (a poco più di 800 mt. s.l.m.). Il passaggio a Nord, da Brumano in direzione della Costa del Palio (valico situato a 1363 mt.), giace da anni nella fase di una lunga gestazione, poiché il processo di formazione dell’infrastruttura viaria è stato caratterizzato da una serie di parziali interventi, realizzati a distanza di tempo e caratterizzati dall’impiego di esigue risorse finanziarie. Il collegamento con la Valsassina e la Valle Taleggio è atteso da alcuni decenni e consente di perseguire diversi obiettivi. Ripristina innanzitutto la connessione storica intercorsa e consolidatasi nei secoli tra l’Alta Valle Imagna, la Valsassina orientale e la Valle Taleggio; non una relazione accidentale, ma essenziale e un tempo abituale, caratterizzata da legami e vincoli reciproci fondati sulla comune appartenenza alla medesima tradizione socio-economica e culturale. Siamo in un territorio a forte tradizione pastorale, popolato nel passato da famiglie di bergamini transumanti dal monte al piano con le loro mandrie di bovini, vacche da latte innanzitutto. Il vasto areale, rivelatore ancora oggi di una diffusa economia zoo-casearia, caratterizzato da estese praterie montane che, dalla Costa del Palio, si estendono a tutta la valle di Morterone, sino a raggiungere la Culmine di San Pietro, sviluppandosi poi ulteriormente in direzione delle alture pascolive della Valle Taleggio, da secoli ha avuto una forte vocazione all’allevamento del bestiame e alla produzione di stracchini e altri formaggi d’alpeggio. La strada in progetto attraversa questo territorio e segue la rotta stagionale delle mandrie bergamine di un tempo. All’intorno, sulle pendici del Resegone, la grande montagna che sovrasta a ponente, si scorgono ruderi di stalle e case in rovina, altri edifici rurali ormai svuotati delle loro funzioni originarie, alcune vacche qua e là nel periodo estivo, quando un tempo – ci racconta ol Carlì di Locatello - lassù le vacche brulicavano come le mosche il mese d’agosto! Il nuovo percorso s’inserisce nel solco degli antichi passaggi di valico, i cui tracciati originari risultano spesso irriconoscibili, a causa dei diffusi fenomeni di abbandono verificatisi nella seconda metà del secolo scorso, anzi vi si sovrappone introducendo elementi di prudente modernità. Un caro amico, oggi passato a miglior vita, mi confidò: “Torneranno i lupi su questi pascoli…”, un tempo specchio fedele dell’orgoglio di montanari e bergamini. Intanto sono già arrivati i cinghiali. Non sarebbe male che, già in questa fase pre-progettuale, l’iniziativa venisse subito caratterizzata da questo fondamento storico culturale, identificandola come “Strada dei Bergamini”, prevedendo quindi un corollario di azioni finalizzate a definirne i contenuti salienti e inserendo la nuova infrastruttura viaria all’interno di un programma di sviluppo e di conoscenza territoriale più ampio. L’opera si pone in sintonia con l’itinerario denominato “Strada dello stracchino e della pietra”, proposto dal Centro Studi Valle Imagna per sostenere iniziative di valorizzazione territoriale, animazione culturale e promozione dell’accoglienza nello spazio rurale, che si sviluppa proprio tra l’Alta Valle Imagna, la Valsassina e la Valle Taleggio.

 

Non dimentichiamo che, in realtà, più che di una nuova strada, si tratta della messa in sicurezza di quella già esistente e regolarmente utilizzato, mediante un modesto ampliamento (un metro), e, ci auguriamo, anche la posa di adeguate protezioni e la stesura di un tappeto d’asfalto, per alleggerire e rendere più facilmente fruibile il transito. Innanzitutto a favore della popolazione residente nel circondario, ancora prima che ai turisti e ai motociclisti. Penso, in questo frangente, soprattutto agli amici di Morterone e alla pericolosa strada in direzione di Ballabio, attualmente unica via di comunicazione, oltre che alle attività zoo-casearie, commerciali e insediative del territorio. Ma ci auguriamo soprattutto che, una volta tanto, gli abitanti della montagna non vengano ancora una volta costretti a circolare su strade bianche regolarmente dissestate ogni qualvolta si verifica un temporale, con dispendio continuo di risorse per ripristinare un sedime malconcio e ai limiti della transitabilità. Chi scrive utilizza spesso il trattore per le varie incombenze dell’azienda agricola di famiglia e vi assicura che certe strade, specie dopo i sempre più frequenti e violenti acquazzoni, sono più simili a canali e torrenti in piena in grado di provocare seri pericoli alle persone, alle cose e all’ambiente. E’ difficile lavorare in queste condizioni! La montagna è ancora carente di servizi e infrastrutture primarie, primo argine contro l’abbandono delle poche attività rimaste, e ha bisogno, come il pane, di collegamenti e relazioni con l’esterno. In tutta onestà non comprendo le posizioni contrarie a un’opera così basilare, che si spiega da sé, e nemmeno dei numerosi “distinguo” che ho letto in questi giorni qua e là, quando vengono usati non per sostenere l’iniziativa, bensì per incrinarne le fondamenta e farla vacillare. Un amico mi ha recentemente scritto: “In montagna non si può più fare nulla … solo in pianura si possono realizzare autostrade e milioni di volumi di cemento. Evidentemente la natura in pianura non esiste… E poi c’è montagna e montagna: da una parte si può, dall’altra no…”. Con buona pace di coloro per i quali la montagna è solo il luogo delle belle passeggiate o, peggio ancora, ghiotto argomento per lotte intestine o affermazioni politiche…

Commenti

Post popolari in questo blog

RACCOLTA DI DIVERSI RIMEDJ A VARJ MALI - UN RICETTARIO LOMBARDO DI MEDICINA POPOLARE DEL DICIOTTESIMO SECOLO - IL NUOVO LIBRO DEL CENTRO STUDI VALLE IMAGNA

Frontespizio della prima raccolta di Rimedj . Un caro amico si è scandalizzato (o ha fatto finta di esserlo), leggendo l’ultimo post in cui si annunciava l’imminenza del nuovo libro A catàr la cucagna sull’emigrazione bergamasca in Brasile nella seconda metà del diciannovesimo secolo, per il fatto che il processo di colonizzazione di ampi territori dell’America latina, come è successo anche negli Stati Uniti, è avvenuto contestualmente alla distruzione delle culture preesistenti degli indigeni - indios e indiani - perseguita anche attraverso l’eliminazione fisica delle popolazioni native. I primi coloni hanno introdotto il concetto di proprietà privata, costruendo recinzioni e alzando steccati per impedire a chiunque l’accesso nei fondi loro assegnati, mettendo in atto misure anche drastiche per la difesa dei nuovi confini. Le autorità centrali hanno promosso e sostenuto il processo di colonizzazione non solo per sfruttare ampie porzioni di territorio ancora inesplorate, ma soprattutt

PIZZAIOLO, COLLEZIONISTA E INSTANCABILE ANIMATORE DELLE VICENDE DELLA SUA VALLE

Stefano Frosio Stefano non è solo un bravo pizzaiolo, comproprietario, assieme ai suoi fratelli, di uno spazioso esercizio pubblico situato proprio nel centro della Felìsa , dove con una certa regolarità metto le gambe sotto il tavolo per gustare una prelibata pizza accompagnata da speck e stracchino (quello nostrano, prodotto dai nostri allevatori di monte), alternata all’immancabile Fumata Bianca, farcita con diversi ingredienti. Una vera esplosione di sapori alpini e mediterranei. I meno giovani sanno che questa pizza è stata voluta alla memoria di Dante, suo papà, per non dimenticare quando, la mattina del 28 ottobre 1958, dalla stufetta istallata in prossimità dell’abitazione del noto fotografo della Valle Imagna, ma in luogo accessibile e visibile da tutti, fuoriuscì il fumo bianco: da quel momento ol Capelù - così la popolazione della valle lo aveva soprannominato, in relazione al suo vistoso cappello nero a larghe tese – ha iniziato ad annunciare a gran voce l’imminente elezio

ADDIO LUGANO BELLA...

Fuipiano Valle Imagna, contrada Arnosto, anni '60. Centro Studi Valle Imagna, Archivi della Memoria e delle Identità. Fotografia di Rinaldo Della Vite In questo periodo, spesso senza accorgermene, mi ritrovo a canticchiare o a fischiettare la nota canzone anarchica Addio Lugano bella...   Ogni riferimento ideologico rischia di essere oggi fuorviante. Restano, però, i comportamenti, che si ripetono nella storia, e le tensioni imperscrutabili dell’animo.  Un pensiero costante, come un tarlo, mi ronza per la testa: l'inspiegabile atteggiamento di chiusura della nuova Amministrazione di Fuipiano nei confronti del Centro Studi Valle Imagna. Un affronto dietro l'altro. Dapprima la bocciatura del programma Berghemhaus , poi il “sequestro” dei nostri libri depositati da anni in alcuni locali non utilizzati messi a disposizione dal Comune. E non è finita qui. Ora partono gli attacchi personali.  Ritorna, a bassa voce, il motivo musicale: … Cacciati al par dei malfattori ....  “Lice